REGGIO EMILIA – Una vicenda di reati tributari molto complessa e intricata quella che vede indagato il manager 52enne Corrado Mussini, nato a Milano ma domiciliato a Reggio. Mussini, al pari di Pasquale Pisapia, è coinvolto in una inchiesta su di un maxi giro di false fatturazioni che ha riguardato numerose aziende tra l’Emilia e la provincia di Latina.
Mussini, assistito dall’avvocato del foro di Piacenza, Massimo Brigati, è ritenuto parte di una presunta associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali internazionali, attraverso una galassia di società cartiere. Tutto sarebbe ruotato intorno alla società di telefonia Area Spa (oggi Area Srl in amministrazione giudiziaria) con sede in via Degani, a Reggio Emilia. Secondo l’accusa, rappresentata dal pubblico ministero della procura europea, Giordano Baggio, Mussini avrebbe gestito l’operatività delle cosiddette “società filtro”: realtà interposte, nei meccanismi di frode più articolati, allo scopo di creare uno schermo giuridico tra la società cartiera (ossia quella che emette fatture per operazioni inesistenti) e la società che effettivamente acquista la merce.
Questa mattina, per i due indagati, si è concluso a Latina – dove è incardinato il processo – il rito abbreviato: a fronte di richieste dell’accusa di 5 anni per Mussini e 3 per Pisapia, il Gup Mara Mattioli ha condannato il primo a 6 anni e il secondo a 3 anni e 4 mesi. “Al mio assistito – le parole del legale di Mussini, Brigati – era stato attribuito dall’accusa un ruolo apicale in questa vicenda. Peccato che la stessa accusa abbia più volte rimarcato il fatto che Mussini, da dipendente, agisse dietro direttive del vice presidente di questa società”. A influire nella pena comminatagli anche l’aggravante della transnazionalità del reato: “Qui – ha aggiunto l’avvocato Brigati – mancano addirittura le basi giuridiche, che prevedono infatti l’esistenza di un gruppo criminale all’estero con cui entrare in affari. In questa vicenda non abbiamo nulla di tutto ciò”.
Ora, dovranno passare i canonici 90 giorni prima che le motivazioni della sentenza vengano rese pubbliche, “ma è molto probabile che faremo ricorso in Corte d’Appello contro la pronuncia del giudice”, ha concluso Brigati.
Servizio Tg di Andrea Bassi
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