REGGIO EMILIA – Il traffico internazionale di opere d’arte e resti archeologici trafugati è il terreno nel quale il criminale reggiano Paolo Bellini sarebbe entrato in contatto Matteo Messina Denaro e il padre Francesco detto “Ciccio”. E’ quanto emerse nel corso del processo in Corte d’Assise a Caltanissetta conclusosi nell’ottobre del 2020 nel quale il super boss, ora arrestato in una clinica a Palermo dopo ben 30 anni di latitanza, era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di essere tra i mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio del 23 maggio e del 19 maggio 1992, costati la vita a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e agli agenti delle scorte. In quel procedimento giudiziario Bellini venne ascoltato dai magistrati.
La ricostruzione dei rapporti tra Bellini e i Messina Denaro, intorno alla fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, venne fatta partendo dalle testimonianze del collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera. Quest’ultimo parlò di una trattativa tra il mafioso Antonino Gioè e l’estremista di destra Bellini che, secondo La Barbera, contattò Gioè per chiedergli se Cosa Nostra era disponibile a far ritrovare allo Stato alcune opere d’arte rubate.
Una trattativa che mise poi lo stesso Bellini in contatto con la famiglia mafiosa di Castelvetrano dei Messina Denaro. La contrattazione in questione avrebbe dovuto portare a un alleggerimento delle condizioni carcerarie di alcuni mafiosi. Paolo Bellini, classe 1953, lo ricordiamo, lo scorso 6 aprile è stato condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise di Bologna come esecutore della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Guarda anche
Reggio Emilia Paolo Bellini Matteo Messina Denaro arresto messina denaroArresto Messina Denaro, Paci: “Lo Stato non lascia spazio alla criminalità organizzata”. VIDEO