
REGGIO EMILIA – «Devi chiamare il Cammo». Furono queste le parole con cui Giorgio Lavagna (sì, quel Giorgio Lavagna voce dei Gaznevada) si rivolse ad inizio 2021 a Renato De Maria, regista di Rapiniamo il duce, presentato alla festa del cinema di Roma e disponibile dallo mercoledì 26 ottobre su Netflix, produzione internazionale. Un inizio che sapeva già di favola, o meglio… di fumetto. D’altronde tutti e tre i citati coi fumetti hanno avuto a che fare. E così «Il Cammo», ossia il fumettistar reggiano Giuseppe Camuncoli, non ha potuto rifiutare: ciak, azione e i suoi disegni prendono letteralmente vita sul grande schermo animando una vicenda di per sé rocambolesca sullo sfondo finale della Seconda Guerra Mondiale.

Giuseppe Camuncoli
Il film
Mentre la Repubblica di Salò intravede la fine e Mussolini prepara la fuga, nella Milano occupata una banda di sei ladri (cast d’eccezione: da Pietro Castellitto a Matilda De Angelis, passando per Maccio Capatonda) tenterà di trafugare il celebre tesoro del duce, realmente esistito ma scomparso dai radar della Storia. Il lungometraggio, pertanto, introduce diversi elementi di novità. Tra tutti, la contaminazione di due generi artistici, quello del cinema e quello del fumetto, non dialoganti nella tradizione italiana. «L’interpretazione grafica è sempre diversa dalla realtà – commenta Camuncoli – ma il film è una finzione che assomiglia al vero; il fumetto fornisce un altro punto di vista». L’idea ha ovvie ispirazioni tarantiniane (da Kill Bill a Bastardi senza gloria), tant’è che «Renato cercava un disegnatore Marvel anni ’40 – pur non essendo ancora nata l’azienda in quegli anni – perché il protagonista (Isola, Pietro Castellitto) è appassionato di disegni».

La realizzazione dei fumetti
Disegni che hanno assunto una duplice valenza: scene d’animazione ad opera di Doghead Animation (gli stessi di Strappare lungo i bordi di Zerocalcare) e oggetti di scena nelle mani dei personaggi che illustravano il loro piano d’azione. Per le prime Camuncoli ha effettuato scannerizzazioni digitali, mentre per le seconde ha «lavorato su carta». Un fitto scambio di idee col regista, instauratosi dalla primavera 2021 per «decidere la divisone e il collocamento dei fumetti» all’interno della pellicola. All’inizio erano inseriti solo quelli sulla rapina, ma «poi sono piaciuti molto ed abbiamo aggiunto la presentazione iniziale dei personaggi». Che Camucoli sia un campione a disegnare non è certo una notizia, la notizia è che questa volta ha dovuto farlo «male» perché i fumetti dovevano sembrare usciti dalle mani degli attori. «Ma disegnare male – scherza – non è difficile». Scherza meno Maccio Capatonda (nel film Fabbri) quando, vedendosi ritratto ricurvo, recita: «Quello sgorbio sarei io!».

Le riprese sul set
Il fumettista reggiano ha anche partecipato all’ultima giornata di riprese a Trieste. E proprio in quell’occasione racconta che Maccio Capatonda gli si avvicinò dicendo: «Ah, quindi sei tu quello che mi ha disegnato così!». Nel frattempo, mentre Castellitto per festeggiare la fine dei lavori offriva bollicine qua e là, Camuncoli doveva fare la sua comparsa nel film. O meglio, non lui, bensì le sue mani: «Mi hanno ripreso dall’alto mentre realizzavo i fumetti. Purtroppo, però, in fase di montaggio hanno tagliato quelle scene. Peccato, avevo anche detto al tassista romano che mi accompagnò di aver recitato in un film. Per fortuna mi rispose di seguire solo il cinema d’autore». Almeno non l’ha fregato.
Un film che, in sostanza, offre una lettura nuova rispetto al racconto nostrano sul fascismo e al tempo stesso «bellissimo» per chi l’ha visto, per chi lo vedrà e per Camuncoli «perché – e conclude – vedere il proprio nome tra i titoli di coda è emozionante».
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