REGGIO EMILIA – E’ l’unico bando di gara al centro del processo sugli appalti del Comune di Reggio per il quale i giudici abbiano emesso sentenze di condanna: la concessione del servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza dopo gli incidenti stradali per gli anni 2017-2020, vinto dal Consorzio Cisa, con l’Autofficina Corradini nella qualità di mandataria ed esecutrice. Il processo si è concluso con la condanna a un anno e mezzo per turbativa d’asta di due dirigenti comunali, Santo Gnoni e Roberto Montagnani, rispettivamente capo dell’Ufficio legale e del Servizio Appalti. Gli imprenditori Vincenzo e Lorenzo Corradini, padre e figlio, sono stati condannati a un anno ciascuno.
Secondo i giudici, l’istruttoria ha dimostrato che Gnoni e Montagnani hanno promesso ai Corradini che, se avessero accettato una transazione a chiusura del contenzioso che li opponeva al Comune, si sarebbero aggiudicati la concessione. La condizione era la rinuncia alla causa con cui l’autofficina reclamava 2,7 milioni di euro di crediti, che il Comune riconosceva solo in parte. La prova della promessa di aggiudicazione, si legge nella sentenza, sta in alcune intercettazioni dell’agosto e settembre 2016. Intercettazioni dal “contenuto inequivocabile”, secondo i giudici, che dimostrano le condotte dei quattro “finalizzate ad inquinare la procedura di gara”. Dalle intercettazioni emerge che “i pubblici funzionari da un lato e gli imprenditori interessati all’aggiudicazione dall’altro si sono accordati”.
I Corradini, secondo i giudici, non erano “vittime”, ma hanno scelto consapevolmente di trarre vantaggio dalla situazione.
Restano alcuni aspetti da decifrare: non è stato possibile appurare quali siano i cambiamenti del testo del bando di gara chiesti dai Corradini, né se questi cambiamenti siano stati effettivamente recepiti. E non c’è neppure prova, si legge nella sentenza, della illegittimità della valutazione tecnica della commissione di gara, presieduta dallo stesso Montagnani. Ma la promessa dell’aggiudicazione e le condotte collusive, concludono i giudici, sono sufficienti per integrare il reato di turbativa d’asta, anche se la procedura di gara non fosse stata effettivamente alterata.
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