REGGIO EMILIA – La sentenza di primo grado del processo per la morte di Saman Abbas è attesa tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Quando il procedimento riprenderà, l’8 settembre prossimo, si andrà veloci con otto udienze in poco più di un mese che culmineranno con la requisitoria del pm Laura Galli e le discussioni finali delle parti civili e delle difese.
Non si conoscono, invece, i tempi per una risposta definitiva sull’estradizione del padre della ragazza, Shabbar Abbas. Lo scorso 4 luglio il magistrato pakistano, dopo un percorso durato 8 mesi con udienze a cadenza quasi settimanale, ha dato parere favorevole; si tratta, appunto, di un parere, ora sarà il Governo pakistano a decidere.
Dalla relazione depositata dal magistrato emergono però i dettagli della versione fornita da Shabbar agli inquirenti del suo Paese rispetto alla vicenda. Dichiarazioni precedenti al ritrovamento del corpo senza vita, poi risultato essere quello della ragazza. Shabbar ha riferito che tutta la famiglia, Saman compresa, aveva deciso di tornare per sempre in Pakistan dal momento che i suoi figli erano spaventati dalla cultura locale e dalla vita nella comunità bolognese, riferendosi al luogo in cui la 18enne era stata collocata nei mesi precedenti la morte per aver denunciato il matrimonio cui volevano costringerla.
La ragazza avrebbe dovuto raggiungere lui e la madre in patria, ma il fidanzato e altre persone “in malafede” hanno montato un caso che non esiste, ha detto ancora il 46enne, scagliandosi contro la sua famiglia e parlando di persecuzione e di una questione religiosa. “Non l’ho uccisa io, ma l’hanno uccisa loro – ha detto – e il fidanzato e Danish stanno testimoniando cose non vere solo per avere benefici”. E ancora: “Le autorità italiane hanno voluto dare una lezione a chi non adotta la cultura occidentale. Mi appello al governo del Pakistan affinché indaghi i reali colpevoli del rapimento e dell’uccisione di Saman”.












