REGGIO EMILIA – Shabbar Abbas, padre di Saman, imputato con altri quattro familiari per l’omicidio della figlia, come anticipato nella scorsa udienza ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee oggi, prima dell’inizio della requisitoria del pubblico ministero. Ma la Corte di assise di Reggio Emilia non glielo consente, spiegando che potrà parlare alla fine, dopo che tutte le parti avranno concluso e quindi non prima di alcune udienze.
La presidente Cristina Beretti ha motivato questa decisione con altre pronunce di giurisprudenza sul tema delle dichiarazioni spontanee degli imputati, quando l’istruttoria è stata dichiarata conclusa. L’udienza, per cui c’era grande attesa per le dichiarazioni del principale imputato. Dunque, è proseguita con la requisitoria del procuratore capo, Gaetano Calogero Paci.
“Nessuno dei protagonisti di questo processo, a cominciare dal padre – ha detto Paci – ha voluto degnare questa ragazza di una espressione di pietà, se non strumentale o capziosa. Nessuno ha avuto un cedimento a un sentimento di umana pietà verso l’orrore, lo strazio che è stato compiuto a questa ragazza”. Il procuratore capo ha quindi parlato della necessità di una sentenza “che abbia un senso restitutorio dell’oltraggio alla vita che è stato compiuto con questo barbaro e brutale omicidio. E’ una vicenda terribile, di una tragicità immane. Il più aberrante e malvagio dei delitti, commesso dai genitori con la collaborazione di altri familiari. In questo processo non c’è la prova regina, dal momento in cui viene uccisa e seppellita, ma una pluralità di elementi di prova oggettivi, di varia fonte e provenienza. Noi vogliamo offrire alla Corte una piattaforma indiscutibile”.
Paci ha quindi aggiunto: “Se lo scavo indiscutibilmente è stato fatto anche con quella pala e quella pala indiscutibilmente è stata trovata a casa dei tre imputati, questa è la firma dell’omicidio. Non si è trattato di uno scavo improvvisato, ma ha tenuto conto delle dimensioni di chi doveva ospitare. La fossa era stata originariamente predisposta e preparata e quando il corpo era pronto per essere depositato ci si è accorti che doveva essere allargato. Saman è stata uccisa, per asfissia, generata con un gesto meccanico che ha portato alla rottura della parte sinistra dell’osso ioide. I periti hanno indicato come dinamica lo strangolamento o strozzamento, prediligendo la seconda ipotesi: una costrizione con le mani o con altre parti del corpo”.
Il procuratore capo ha proseguito nella requisitoria: “Nel momento in cui scappò e andò in Belgio e poi finì in comunità, le assistenti sociali delineano il suo enorme anelito di vita e evidenziano quella che era e rimarrà la grande contraddizione in cui questo anelito di vita si inseriva. Il contrasto con il sistema valoriale della famiglia di appartenenza: perdita di dignità, disonore, trasgressione, repressione. La barriera all’anelito di vita di Saman è stato il sistema valoriale della famiglia. ‘Una pazza’, come la definì Nazia, la madre, non poteva permettersi di mettere in discussione l’onorabilità della famiglia. Ma Saman aveva una forza sovversiva che esercitava inconsapevolmente: voleva solo vivere la sua vita, camminare mano nella mano per le strade di Bologna, scambiarsi un bacio”.
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