REGGIO EMILIA – Camicia bianca e mascherina sul viso. Alle 11.24 di questa mattina il volto di Shabbar Abbas è comparso sui video dell’aula del Corte d’Assise del tribunale reggiano dov’è in corso dal 10 febbraio scorso il processo per l’omicidio delle figlia Saman.
Dopo tanti rinvii, è stato finalmente il giorno del videocollegamento dal Pakistan, anche se Shabbar non ha acconsentito a essere ripreso dalle telecamere delle tv. “È stata dura, ma finalmente ce l’abbiamo fatta” ha detto la presidente delle corte, Cristina Beretti, dopo aver ascoltato le prime parole dal carcere di Islamabad. Shabbar Abbas ha avuto prima un colloquio con i suoi legali, gli avvocati Enrico Della Capanna e Simone Servillo. “Lei parla italiano?” gli ha chiesto il giudice. “Poco” ha risposto Shabbar, che è quindi stato affiancato da un interprete urdu-italiano. Una volta confermata la sua identità, il giudice Beretti ha dichiarato riunificata la sua posizione al procedimento principale che vede alla sbarra i due cugini di Saman, lo zio e la mamma che è l’unica ancora latitante.
Il processo è poi proseguito con la testimonianza del maresciallo del nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio, Cristian Gandolfi. Il militare ha ripreso l’analisi, iniziata nella scorsa udienza, dei tabulati telefonici e delle utenze in uso ai famigliari di Saman che sono stati utili alle indagini. Ha poi proseguito raccontando cosa è emerso dalle riprese effettuate dal sistema di videosorveglianza della azienda agricola Le Valli a Novellara, dove Saman abitava con la famiglia e dove ha trascorso le ultime ore prima di essere uccisa. Il racconto è stato notevolmente rallentato dalla traduzione simultanea dell’interprete in Pakistan. “Sarà complicato, ma portiamo pazienza” ha detto ancora il giudice Beretti.
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