REGGIO EMILIA – Sei anni per l’ex vicecomandante Tito Fabbiani, un anno e quattro mesi per la collega e compagna Annalisa Pallai, un anno e sei mesi per l’allora comandante Cristina Caggiati: sono le richieste che nel primo pomeriggio, al termine della requisitoria, il sostituto procuratore Valentina Salvi ha avanzato per i tre imputati del processo seguito a un’inchiesta che fece molto discutere. I difensori hanno chiesto l’assoluzione.
Era il luglio del 2018 quando scoppiò un piccolo terremoto nella polizia municipale dell’unione Val d’Enza: Fabbiani e Pallai vennero accusati a vario titolo di concussione, peculato, abuso d’ufficio e truffa aggravata ai danni dello Stato; Caggiati, licenziata e poi riassunta dopo aver impugnato il provvedimento, di abuso d’ufficio, omessa funzione di controllo e falsa certificazione del regolare svolgimento del servizio. Secondo le indagini, Fabbiani in particolare avrebbe instaurato una sorta di sistema di potere all’interno del comando gestendolo a suo piacimento, tanto che la struttura era stata ribattezzata dai colleghi “casa Fabbiani”. “La nostra sola colpa è stata aver lavorato ed essere sempre stati disponibili e reperibili”, si era difeso lui in aula. Il processo è iniziato tre anni fa e adesso è giunto al penultimo capitolo: la
sentenza di primo grado è attesa per il 17 giugno.
Cinque agenti si sono costituiti parte civile e sono rappresentati dall’avvocato Ernesto D’Andrea. Ci sono state le loro deposizioni, con
racconti che hanno riferito di vessazioni patite tali da provocare stati d’ansia. Una cinquantina i testimoni che hanno deposto nel corso del
processo.
Aggiornamento 17 giugno 2022: condannato Fabbiani, assolte Caggiati e Pallai
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