REGGIO EMILIA – Solo piccole limature di pena e alcuni ricorsi respinti in Cassazione nel filone dei riti abbreviati del processo di ‘ndrangheta Perseverance, il che significa la piena tenuta dell’impianto accusatorio incardinato dalla pm antimafia Beatrice Ronchi della Dda di Bologna, capace di rendere evidente come la cosca mafiosa avesse proseguito nelle nostre terre con le sue attività illecite ben oltre le due grandi inchieste Aemilia (del 2015) e Grimilde (datata 2019). Una capacità di rigenerarsi del clan ‘ndranghetista in pianura padana che si è infranta alla luce di condanne pesanti.
Nel mirino, in particolare, la famiglia Sarcone di stanza a Reggio Emilia e Bibbiano. Ricorso rigettato per il 64enne Giuseppe Sarcone Grande che resta in cella: la sua rimane la pena più alta, cioè 16 anni e 8 mesi di reclusione in quanto è stato ritenuto la nuova guida delle attività mafiose. Per prescrizione di un reato vi sono ora alleggerimenti, al massimo di due mesi, per le condanne agli altri fratelli, ora fissate in 7 anni e 10 mesi per il boss detenuto da tempo Nicolino Sarcone, 3 anni e 6 mesi per Gianluigi Sarcone e 3 anni per Carmine Sarcone (questi ultimi entrambi già in carcere), infine poco più di un anno per Giuseppina Sarcone.
La Suprema Corte, sempre in chiave reggiana, ha confermato le dure condanne per il 40enne Salvatore Muto residente a Reggio Emilia (16 anni per false fatturazioni) e per Salvatore Procopio di Gualtieri (14 anni per le armi). Relativamente all’aggravante mafiosa quattro imputati la ridiscuteranno in Appello, fra cui Rosario Lopez Errico di Cadelbosco Sopra (condannato a 4 anni in secondo grado). Torna in Appello anche Giuseppe Caso di Correggio (11 anni e 4 mesi la pena originaria) che discuterà la messa in continuazione con un’altra sentenza. Inalterati i risarcimenti alle parti civili.
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