REGGIO EMILIA – Il pm della Direzione Distrettuale Antimafia, Beatrice Ronchi, non senza emozione, ha ringraziato i collaboratori, le squadre mobili di Reggio e Bologna; ha nominato il collega Marco Mescolini, che accanto a lei aveva condiviso le indagini del processo Aemilia, e poi ha iniziato così la sua requisitoria. “Francesco Grande Aracri è il simbolo concretizzato della ‘ndrangheta in Emilia, è la ‘ndrangheta in Emilia”.
Gli imputati sono 22, ma è Francesco Grande Aracri – che ha ascoltato la Ronchi video collegato dal carcere di Novara – il grande accusato del processo Grimilde. Dopo 55 udienze, mentre nel frattempo il rito abbreviato è approdato alle condanne in primo e secondo grado, il dibattimento di Reggio Emilia si avvia alle settimane finali. Al centro c’è un periodo enorme: 2004-2018. Quattordici anni di presunti affari brescellesi della famiglia Grande Aracri e dei sodali, di Francesco e della sua “longa manus”, ha detto Ronchi: i suoi figli.
Salvatore, condannato in abbreviato, che, “più violento, meno ha accettato – ha continuato la pm – il basso profilo scelto dal padre”, e Paolo, alla sbarra in questo dibattimento. “Ha deciso di trasferire altrove gli atti più violenti e brutali; in Emilia no, qui la strategia è quella silente della mimetizzazione, l’immagine del lavoratore che si rimbocca le maniche”, ha aggiunto la Ronchi.
Francesco e Brescello. Una specie di connubio, secondo le parole della Dda, perché quel “grumo articolato di relazioni”, come l’ha definito
Ronchi, è stato intessuto anche grazie all’accoglienza che Brescello gli ha sempre riservato: “E’ sempre stato terreno fertile e accogliente”.
Leggi anche
Reggio Emilia 'ndrangheta mafia Grande Aracri Beatrice Ronchi processo Grimilde“Mafie: mutamenti e trasformazioni”: esperti a confronto in Sala del Tricolore