BRESCELLO (Reggio Emilia) – A Bologna nel primo pomeriggio è terminata la due giorni di requisitoria del pm della Dda Beatrice Ronchi nel filone abbreviato del processo Grimilde.
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Dieci ore di requisitoria, distribuite su due giorni. Al termine, il pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna Beatrice Ronchi ha chiesto in totale 263 anni di carcere per 47 dei 48 imputati dell’indagine Grimilde che hanno scelto il rito abbreviato. Per l’accusa deve essere assolto Nicola Tafuni, indagato per una presunta truffa, perché “il fatto non costituisce reato”.
Le istanze di pena vanno dai 20 anni chiesti per Salvatore Grande Aracri, nipote del boss Nicolino e figlio di Francesco – che invece ha optato per essere giudicato in rito ordinario -, ai 4 mesi per Mariantonietta Mallia, passando per i 15 anni chiesti per Claudio Bologna, ritenuto un associato alla cosca e il braccio destro di Salvatore; i sempre 15 chiesti per Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza che nel ruolo di funzionario dell’ Agenzia nazionale della Dogana avrebbe facilitato la presunta cosca anche ad accedere a fondi europei in ambito agricolo; i 14 anni a testa chiesti per Domenico Spagnolo e Giuseppe Strangio. Tra i nomi già noti poi, quelli di Nicolino Sarcone e dello stesso boss Nicolino Grande Aracri, di Antonio Silipo e di Alfonso Diletto, ovvero parte dei ‘protagonisti’ dell’inchiesta Aemilia.
Sempre da lì, come ennesima costola, ha preso infatti le mosse Grimilde, che all’alba del 25 giugno 2019 aveva fatto risuonare le sirene della polizia a Brescello. Quel paese e Francesco Grande Aracri e i suoi figli erano stati ritenuti il centro “di attività illecite – scriveva il giudice Alberto Ziroldi nell’ordinanza che disponeva le custodie cautelari di un anno fa – radicate nel campo economico ma non solo in quello”, e che “si sono snodate per più di un decennio, giungendo di fatto all’attualità”. Presunto apice del presunto centro, Salvatore, detto ”u calamaru”, il calamaro, per l’indole tentacolare nel fare affari in tanti e disparati campi: il settore edile e quello della ristorazione, l’ambito dei trasporti e quello dell’ imprenditoria agricola. Emblematico l’episodio del dicembre 2017 alla pizzeria Arcipelago Club di Brescello poi chiusa, la cui proprietà è stata ricondotta a Salvatore: tramite un emissario, il figlio maggiore di Francesco Grande Aracri avrebbe minacciato il fattorino di un’altra pizzeria che poi aveva denunciato tutto, reo di essersi spinto a lavorare in un territorio off limits. “Qua non hai capito che ti spariamo” gli avevano detto. Associazione di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata le accuse a vario titolo. Adesso tocca alle difese, che ne avranno fino a fine ottobre. Mentre il 16 dicembre a Reggio prenderà il via il processo ordinario con altri 22 imputati, tra cui Francesco Grande Aracri, appunto, e l’altro figlio Paolo.
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