REGGIO EMILIA – “Franco sta sempre dietro le quinte, però manovra lo stesso. Franco Aracri non è secondo a nessuno”. Diceva così il pentito Massimo Colosimo. E anche Angelo Salvatore Cortese confermava: “Vuole stare in penombra e manda avanti figli e nipoti tirando le fila, una cosa che nella ‘ndrangheta la fanno tutti i ‘ndranghetisti di un certo spessore”.
La Corte d’Appello di Bologna riporta le parole dei collaboratori di giustizia, sulla cui credibilità, dice, non c’è dubbio, nelle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Grimilde del luglio 2024. La scorsa estate l’elemento di discontinuità con il pronunciamento reggiano di primo grado era stato la condanna decisa proprio per Francesco Grande Aracri, in Appello inasprita da 19 a 24 anni. La Corte di secondo grado lo ha infatti ritenuto l’apice del ramo brescellese della cosca Grande Aracri, ramo su cui si sono concentrati gli inquirenti con l’indagine Grimilde.
Nelle motivazioni emerge il perché: secondo i giudici bolognesi non è vero che non ci siano elementi sufficienti che provino il suo ‘ruolo apicale’. Francesco Grande Aracri incarna la figura dell’ndranghetista “moderno, più morbido, sofisticato e insidioso”, che ottiene il pizzo non con le estorsioni ma mediante le false fatturazioni. Nessuna presa di distanza, da parte sua, dopo la condanna definitiva in Edilpiovra. La Corte parla di “perdurante intraneità” che si evince dai rapporti tenuti con la casa madre cutrese e col fratello, il boss Nicolino; dalle dichiarazioni dei pentiti, che non sono “né generiche né astratte”, come invece erano state definite nelle motivazioni di primo grado; dall’aver perseguito la strategia della fittizia intestazione “in relazione alle plurime società mafiose per proteggere il patrimonio associativo” dopo che gli inquirenti avevano acceso un faro sulla cosca; dall’aver “strumentalizzato i buoni rapporti con l’amministrazione brescellese – scrive la Corte – in particolare nelle persone dei Coffrini padre e figlio”. Una strategia insomma, per la Corte d’Appello, quella di tenere il basso profilo, ‘vitale’ per la salvaguardia del patrimonio del clan.
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