BRESCELLO (Reggio Emilia) – “Brescello vittima della ‘sindrome Grimilde’”. Lo dice Sandro Pecorella, il giudice per l’udienza preliminare che a fine ottobre si era espresso al termine del processo con rito abbreviato dell’ennesimo filone derivato da Aemilia, che aveva al centro le attività di Francesco Grande Aracri e dei figli Salvatore e Paolo. Ora, vengono rese note le motivazioni di quelle 41 condanne in primo grado e del riconoscimento dell’esistenza di un’associazione mafiosa.
La comunità è citata in più di un passaggio delle 1.400 pagine. Grimilde, la strega di Biancaneve, non si piaceva ed evitava per questo di guardarsi allo specchio, raccontandosi delle bugie. Così Brescello, sostiene il gup: nonostante, infatti, lo scioglimento per infiltrazioni mafiose nel 2016 – primo Comune in Emilia Romagna ad andare incontro a questa sorte – non avrebbe mai davvero affrontato il problema. Pecorella cita un episodio in particolare, di offese a un vigile nel 2019 con una multa strappata, di sanzioni non fatte ai Grande Aracri: per il gup “se ne ricava che la società non vuole guardarsi allo specchio per non essere messa di fronte alla realtà. Di 5.500 abitanti, 1.700 sono di origine calabrese e nonostante le inchieste, a parlare apertamente o a denunciare sono stati in pochi”.
Nella vicenda dello scioglimento, l’atteggiamento del personale del Municipio sembrava “ancorato all’inconsapevolezza e al timore verso l’argomento criminalità organizzata”, quasi come fosse “la fantasia di un autore che racconta di un’Italia asservita a un malaffare che arriva anche alle minutissime cose di tutti i giorni”. La ‘ndrangheta a Brescello era moderna, “faceva in modo di accreditarsi attraverso comportamenti apparentemente innocui, entrando illecitamente in punta di piedi nelle articolazioni economiche e sociali, cercando di scongiurare così reazioni di allarme sociale prefigurabili in presenza di episodi violenti e eclatanti”, scrive sempre il giudice.
L’imputato principale del filone abbreviato è Salvatore Grande Aracri, detto “U calamaru”, il calamaro, per l’indole tentacolare nel fare affari in tanti e disparati campi: è stato condannato a 20 anni. Il padre e il fratello Paolo hanno scelto il rito ordinario iniziato a dicembre.
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