REGGIO EMILIA – I bambini coinvolti e i loro famigliari, diverse associazioni e ordini professionali, e poi gli enti locali. Erano 33 le parti civili costituite nel processo sui presunti affidi illeciti in val d’Enza. La parte civile in un processo è la persona, fisica o giuridica, che ritiene di essere stata danneggiata da un reato e che chiede di essere risarcito in caso di condanna. Naturalmente ci sono ragioni anche di autotutela, visto che non è possibile sapere come finirà un processo e considerando che il termine per le costituzioni è solitamente l’udienza preliminare. Alla luce della sentenza di primo grado con la quale il collegio di Reggio ha assolto 11 dei 14 imputati infliggendo condanne lievi a tre persone con, per tutte, la pena sospesa, balzano comunque all’occhio le costituzioni di parte civile dei consigli nazionali dell’ordine degli assistenti sociali e dell’ordine degli psicologi, che hanno in pratica preso le distanze dai rispettivi iscritti alla sbarra, su tutti i principali imputati: Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli, condannati a 2 anni e a un anno e 8 mesi per reati non connessi all’attività con i minori, e Nadia Bolognini, assolta.
Balzano anche all’occhio le costituzioni della Regione Emilia-Romagna e dell’Unione dei Comuni della val d’Enza, i cui rappresentanti in queste ore hanno espresso enorme soddisfazione per l’esito del processo di primo grado. Si è scagliato contro questa sorta di “doppio profilo” l’avvocato di Anghinolfi, Oliviero Mazza, che su Facebook ha scritto: “Non più tardi di tre mesi fa, nelle loro conclusioni, Regione e Unione Comuni val d’Enza avevano chiesto la condanna di tutti gli imputati. Non si tratta di un atto dovuto”, dice ancora il legale, secondo il quale, per coerenza, dovrebbe arrivare adesso una revoca degli atti di costituzione di parte civile da parte degli enti locali.
Intanto, è probabile che le famiglie facciano appello. “Aspetteremo le motivazioni e valuteremo – afferma Gianluca Tirelli, avvocato di una delle famiglie coinvolte – certo che è stato dato un segnale”. Un’indagine, e poi un processo, irreversibilmente segnati dalla strumentalizzazione di parte della politica. Un aspetto che non ha giovato a nessuno. “Buttare tutto in politica è stato sbagliato all’inizio ed è sbagliato anche adesso con le reazioni positive o negative a seconda di come la si pensi – conclude Tirelli – a processo c’erano le persone, non la politica, e il giudice ha deciso questo”.
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