REGGIO EMILIA – Con poche parole, ma molto chiare, il giudice Andrea Rat ha fatto chiarezza su una situazione che rischiava di gettare un’ombra sulla magistratura e sulla ricostruzione giudiziaria degli eventi che hanno caratterizzato l‘insediamento della criminalità organizzata nel nostro territorio. In questi anni si è fatta strada una tesi che suona più o meno così: sì, l’indagine e il processo Aemilia hanno portato a giudizio e condannato molti ‘ndranghetisti, ma hanno sorvolato sulle responsabilità politiche del radicamento delle cosche, ignorando o sottovalutando elementi di prova – in particolare intercettazioni telefoniche – che chiamano in causa amministratori locali.
Il giudice Rat, interpellato da Tg Reggio venerdì sera a Bibbiano, in occasione di una conferenza sul processo Aemilia, ha sgomberato il campo da queste ricostruzioni. Rat faceva parte del collegio giudicante del processo di primo grado insieme a Cristina Beretti, presidente del Tribunale, e a Francesco Maria Caruso. E’ il giudice che ha scritto materialmente le 3.500 pagine della sentenza. Per farlo, ha letto 30mila pagine di verbali, ha esaminato centinaia di migliaia di documenti. E ha letto tutte le intercettazioni, trascritte in 100mila pagine. Poi, dopo la sentenza, si è chiuso in casa e per otto mesi si è dedicato anima e corpo a scrivere le motivazioni.
“Io ho viso tutte le intercettazioni – ha detto a TG Reggio il giudice Rat – quello che è emerso nel processo, l’ho scritto nelle motivazioni della sentenza”. Insomma, non ci sono magistrati distratti o in malafede, non ci sono notizie di reato ignorate. Chi vuole saperne di più sulla ‘ndrangheta a Reggio, sugli affari e sugli approcci con la politica, può leggere la sentenza del processo Aemilia. Lì c’è tutto.
Reggio Emilia giudice processo Aemilia politica sentenza Andrea Rat infiltrazioni motivazioniAemilia baluardo nella lotta alle mafie: “Nella sentenza nessuna omissione”. VIDEO












