REGGIO EMILIA – Ieri la seconda sezione penale della Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza di terzo grado del processo contro la ‘ndrangheta Aemilia.
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Questa è la fine, la fine dei condizionali e delle frasi ipotetiche. Lo era già stata la sentenza della Cassazione del 7 maggio scorso, lo sono a maggior ragione le motivazioni depositate dalla seconda sezione penale della Suprema Corte. Una fine che è una conferma: delle sentenze, quella di primo grado di quattro anni fa a Reggio e quella di secondo grado di quasi due anni fa a Bologna; della bontà del lavoro dei pm della Dda Marco Mescolini e Beatrice Ronchi e di carabinieri e Guardia di finanza; di quello che è accaduto ‘a Reggio Emilia e nelle province limitrofe, fino alla bassa Lombardia’ negli ultimi vent’anni, ovvero ‘l’esistenza del delitto di direzione e partecipazione ad una associazione mafiosa di stampo “ndranghetista” scrive la Cassazione nelle motivazioni.
Non una succursale, ma una cosca autonoma, ancorché legata alla casa madre calabrese; un gruppo articolato, differenziato – dice la Cassazione -, negli anni passato “dallo schema tradizionale ad un più sofisticato metodo di penetrazione criminale del tessuto sociale, con un’ampia dotazione di uomini e mezzi, con l’obiettivo del controllo su settori nevralgici del tessuto imprenditoriale emiliano, come autotrasporti ed edilizia, anche attraverso il riciclaggio di capitali illeciti, contraddistinto anche dalla prospettiva di realizzare progetti dominanti in svariati settori imprenditoriali e della società civile”.
87 i condannati in primo e secondo grado che fecero ricorso in Cassazione, e tra loro Michele Bolognino, l’imprenditore modenese Augusto Bianchini, Gaetano Blasco, Alfredo e Francesco Amato, Giuseppe e Palmo Vertinelli. 36 furono, a maggio, i ricorsi rigettati, 39 quelli dichiarati inammissibili, mentre per 13 posizioni vennero disposti annullamenti con lievi ricalcoli di pene o rinvii limitatamente a pochi capi d’accusa.