REGGIO EMILIA – Giovedì 27 aprile alle 20.45 all’Hotel Mercure Astoria di via Nobili 2 a Reggio l’avvocato Giuseppe Pagliani presenterà il suo libro “Ventitré giorni”. Il volume ha la prefazione di Vittorio Feltri, l’introduzione firmata da Maurizio Gasparri e la presentazione del deputato Tommaso Foti.
“Il libro – spiega Pagliani – ripercorre la mia parabola giudiziaria dall’arresto del 28 gennaio 2015 nel processo Aemilia contro la ‘Ndrangheta al nord ed in Emilia sino alla conclusione della vicenda giudiziaria durata sette anni e mezzo e terminata con l’assoluzione piena in Corte di cassazione avvenuta l’8 giugno dello scorso anno e la conseguente riparazione da ingiusta detenzione della durata di ventitré giorni ottenuta il 9 dicembre 2022 con 9200 euro di risarcimento devoluti per intero in beneficienza”. E ancora: “Nel libro vi sono spunti molto interessanti per poter dare un impulso forte alla riforma del processo penale fornendo maggior equilibrio alle posizioni di accusa e difesa”.
Pagliani fu assolto in primo grado e condannato a 4 anni in appello. Ma la Cassazione, accogliendo un ricorso della difesa, ordinò di rifare il processo, conclusosi poi con l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per non aver commesso il fatto. L’ultimo ricorso della Procura generale d’Appello di Bologna fu dichiarato non ammissibile.
Cosa scrissero i giudici nelle motivazioni dell’assoluzione nel processo bis
(dal servizio di Gabriele Franzini per Tg Reggio del 18 marzo 2021, clicca qui per la versione integrale)
All’inizio del 2012 Giuseppe Pagliani aveva deciso di accettare “un temporaneo percorso comune” con la cosca Grande Aracri, convinto che un accordo “avrebbe portato vantaggio ad entrambe le parti”; ma in seguito si sottrasse a quel patto e non prestò “un concreto ausilio agli interessi della cosca”. O almeno non è “emersa prova piena di una condotta concorsuale” da parte di Pagliani, che per questo deve essere assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. E’ questo, in sintesi, il nucleo centrale delle motivazioni della sentenza pronunciata il 23 dicembre scorso dalla Prima Sezione della Corte di Appello di Bologna.
I giudici passano in rassegna l’intera vicenda. Molta attenzione viene dedicata a una domanda cruciale: quando si proponeva come portavoce di soggetti in odore di mafia, il capogruppo del Pdl in Provincia sapeva con chi aveva a che fare? La risposta della Corte è: sì, lo sapeva. Quando il 2 marzo 2012, scrivono i giudici, Pagliani “si presentava presso lo showroom in uso ai Sarcone e qui trovava Nicolino e Gianluigi, era sicuramente consapevole della caratura criminale di costoro”. La sentenza cita un servizio di Tg Reggio del 15 aprile 2011 sull’interdittiva antimafia della Prefettura contro la Bacchi di Boretto in cui si faceva riferimento a Nicolino Sarcone come capo della cosca a Reggio. “Non è pensabile che Pagliani – scrivono i giudici – ignorasse tale servizio”, tanto più che lui stesso aveva criticato il provvedimento del Prefetto De Miro.
L’accordo tra i Sarcone e l’esponente del centrodestra, si legge ancora, era “funzionale agli interessi di entrambe le parti, nella consapevolezza del politico che una delle parti era la ‘ndrangheta”. Ma in quella fase Pagliani aveva “consapevolmente scelto di far coincidere la propria battaglia politica con quella” della cosca. Parole molto severe, seguite però da una considerazione di segno opposto: a partire dal maggio 2012 Pagliani “intendeva sottrarsi all’accordo stipulato” e nel marzo 2013 “ogni legame con la cosca si era rotto”. La conclusione è che “non emerge prova incontrovertibile del reato contestato”, per cui Pagliani deve essere assolto per non aver commesso il fatto.
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