REGGIO EMILIA – Il tentativo di riscrivere la storia delle inchieste e dei processi sull’attività delle cosche di ‘ndrangheta nel nostro territorio è cominciato già alcuni anni fa, ma recentemente ha fatto un salto di qualità. Se da principio Forza Italia e Fratelli d’Italia si limitavano a sostenere che alcuni politici, come Giuseppe Pagliani e Giovanni Paolo Bernini, erano stati accusati ingiustamente, ora ci si spinge a dire che la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna ha agito per pregiudizio politico e che i magistrati che hanno celebrato i processi hanno ignorato notizie di reato che chiamano in causa amministratori locali.
Si arriva così a un paradosso clamoroso: mentre all’inaugurazione dell’anno giudiziario il primo presidente della Corte di Cassazione accosta la conclusione del processo Aemilia alla cattura del superboss Matteo Messina Denaro, a Reggio Emilia un esponente di Fratelli d’Italia parla dello stesso processo come di un processo “deviato”. A questa lettura hanno contribuito non poco anche i 5 Stelle. Pochi giorni fa una nota del Movimento riproponeva la tesi che a Reggio Emilia le cosche erano in collegamento con le amministrazioni locali. E se le inchieste e i processi non hanno portato alla luce questi collegamenti, significa o che non li hanno cercati o che, trovandoli, i magistrati hanno fatto finta di non vederli. Che è l’esatto contrario di quello che ha detto nei giorni scorsi il giudice Andrea Rat, estensore delle motivazioni della sentenza del processo Aemilia.
C’è, insomma, una verità giudiziaria, definita nelle aule di tribunale attraverso tre gradi di giudizio, a cui si cerca di sovrapporre e di sostituire una verità parallela, non fondata sugli atti dei processi e sulle sentenze. Una realtà virtuale in cui i veri colpevoli l’hanno fatta franca, una riscrittura della storia in cui i magistrati sono animati da motivazioni politiche e le intercettazioni imbarazzanti sono nascoste nei cassetti.
La riprova di tutto ciò sarebbe il fatto che, come si dice, “nessun politico è stato condannato”. E anche questo è un paradosso. Nel processo Grimilde, che è una costola del processo Aemilia, un politico è stato condannato in primo grado e in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Si chiama Giuseppe Caruso ed era presidente del Consiglio comunale di Piacenza per Fratelli d’Italia.
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