REGGIO EMILIA – Torniamo a parlare di una vicenda di fine novembre scorso, quando tre agenti delle volanti furono sospesi perché indagati per depistaggio e falso in atto pubblico: avrebbero arrestato due persone per rapina raccogliendo prove considerate false. Ieri in tribunale sono stati ascoltati quattro testimoni.
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“Io non mi chiamo così”. Lo aveva detto subito ai poliziotti, sostiene, eppure le sue generalità sarebbero state verbalizzate in maniera sbagliata, l’ipotesi è per “incastrarlo”. Lo ha ripetuto ieri in tribunale, durante l’incidente probatorio consistito nell’ascolto di quattro persone considerate testimoni nella vicenda dei due ragazzi gambiani che secondo gli inquirenti sono le vittime dei falso in atto pubblico e del depistaggio di cui sono accusati un sovrintendente capo e due agenti.
I tre poliziotti da fine novembre sono indagati e sono stati sospesi per un anno dalla procura: i sostituti che stanno coordinando l’inchiesta sono Marco Marano e Jacopo Berardi. Poi è arrivato anche il provvedimento di sospensione disciplinare da parte del questore Giuseppe Ferrari. Alla stessa polizia, in segno di fiducia, sono state affidate le indagini a carico dei colleghi appartenenti alle volanti. I poliziotti avrebbero raccolto prove in maniera non corretta, verbalizzando falsità e arrestando persone che, è l’accusa, non c’entravano nulla con due rapine. Il 17 aprile una donna fu derubata del cellulare nel sottopassaggio della stazione di piazzale Marconi, il 22 aprile sempre una donna fu rapinata della borsetta in piazzale Europa. Nei verbali di arresto a carico dei gambiani ci sarebbe stato scritto che uno dei fermati fu trovato con indosso un indumento descritto da una delle rapinate, invece lui sostiene non sia così. Inoltre i riconoscimenti sempre da parte delle vittime non sarebbero avvenuti in questura come riportato ma a casa delle donne.
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