REGGIO EMILIA – Ecco i contenuti della relazione che la Direzione distrettuale antimafia di Bologna inviò al Ministero della Giustizia nel 2020. Un documento inedito, che costituisce la risposta alle interrogazioni parlamentari presentate dai senatori Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, nelle quali i due esponenti politici accusavano i magistrati che avevano condotto l’indagine Aemilia di non aver seguito le piste investigative che portavano ad amministratori del centrosinistra. La nuova puntata del nostro approfondimento.
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Le verifiche sono state fatte. Anzi, sono state fatte e rifatte. Ma non hanno portato a niente, perché le notizie di reato non erano fondate. E’ questa la sintesi della relazione inviata al Ministero della Giustizia dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna nell’autunno 2020. A proposito delle note del Servizio di sicurezza interno (Aisi) confluite all’inizio del 2013 in due informative dei Carabinieri di Reggio, che suggerivano di rileggersi gli atti dell’indagine Brick del 2006 e tiravano in ballo la dirigente comunale Maria Sergio, la Dda richiama tre note del Ros dei Carabinieri di Bologna (20 e 22 aprile 2016 e 23 maggio 2016) che, esaminati gli atti, “non hanno segnalato alcun concreto elemento di connessione con i fatti e le vicende di ‘ndrangheta oggetto della operazione Aemilia“. Lo stesso procuratore capo di Reggio Giorgio Grandinetti, aggiunge la Dda di Bologna, non ha indicato “alcun coinvolgimento di soggetti arrestati” nell’operazione Aemilia “né alcun riscontro al contenuto della nota Aisi comportante la necessità di approfondimenti di competenza di questa Dda”.
Rispetto al ruolo di Graziano Delrio, Luca Vecchi, Maria Sergio, Antonella Spaggiari e Fabio Filippi, nella relazione si legge che nei vari gradi di giudizio del processo Aemilia “non sono state rilevate dai Giudicanti condotte di valenza penale da ulteriormente approfondire, tantomeno di competenza di questa Dda”.
I magistrati esaminarono anche la vicenda dell’abitazione acquistata nel 2012 da Luca Vecchi e dalla moglie da Francesco Macrì, in seguito processato e condannato come prestanone delle cosche. Sulla compravendita, precisa la Dda, “non era emerso alcun fumus di reato“. L’acquisto della casa è avvenuto prima che Macrì commettesse i reati per i quali è stato condannato: nel 2012, spiega la relazione, Macrì aveva “certificato penale nullo, non a caso impiegato come prestanome proprio in quanto soggetto insospettabile”.
E non è finita. Per preparare la risposta alle interrogazioni parlamentari, nel settembre 2020 la Dda scrisse a tutte le diverse polizie giudiziarie che nel tempo erano state delegate a condurre l’indagine Aemilia e le indagini connesse. Furono contattate le Squadre Mobili di Reggio e Bologna e i nuclei investigativi dei Carabinieri di Reggio, Modena, Parma e Piacenza per sapere se in qualche atto fossero emersi condotte penalmente rilevanti o favoritismi nei confronti di qualcuno da parte di Maria Sergio. Tutti risposero di no. (9 continua)
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