REGGIO EMILIA – Cosa ci andarono a fare all’inizio del 2012 i consiglieri comunali Antonio Olivo, Salvatore Scarpino e Rocco Gualtieri dal prefetto Antonella De Miro? Questo incontro, che all’epoca non ebbe pubblicità da parte dei protagonisti, fu valutato con qualche sospetto dopo che l’indagine Aemilia, nel gennaio 2015, ricostruì le iniziative dispiegate dagli uomini della cosca Grande Aracri contro le interdittive antimafia delle Prefettura.
Il profilo dei tre consiglieri ha un suo peso. Antonio Olivo, imprenditore edile eletto in Sala del Tricolore per il Pd, ascoltato in aula come teste al processo Aemilia, minimizzò l’incendio appiccato in un suo cantiere in via Mascagni, negando che fosse doloso. Olivo aveva rapporti di frequentazione con diversi imputati poi condannati nel processo, come Pasquale Brescia, Romolo Villirillo e Gianluigi Sarcone. Salvatore Scarpino, consigliere comunale Pd di lunga data, conosceva da anni Brescia, anche per via di una lontana parentela. Rocco Gualtieri, consigliere del Pdl e nipote di Brescia, qualche settimana dopo la visita in Prefettura avrebbe partecipato alla cena al ristorante Antichi Sapori con Giuseppe Pagliani e con lo stato maggiore della cosca Grande Aracri.
Quando nel gennaio 2012 chiesero al sindaco Graziano Delrio di aiutarli ad incontrare il Prefetto De Miro per parlarle del disagio della comunità di origine cutrese, erano animati da buone intenzioni o agivano per conto di altri? Su questo episodio, che suscita ancora oggi dubbi e interrogativi, almeno una certezza c’è: il Prefetto De Miro non lo visse come un tentativo di pressione, né attribuì all’incontro particolare importanza. “Avvertivo la preoccupazione dei calabresi di essere accomunati alla ‘Ndrangheta, ed ebbi parole di rassicurazione nei loro confronti”, disse in aula durante il processo Aemilia di primo grado il 4 aprile del 2017.
Nella sentenza del processo Aemilia, però, i giudici hanno inquadrato quella iniziativa in modo critico: “L’episodio – scrivono – si colloca su un piano grigio e ambiguo, rivelatore di una mancanza di compattezza delle istituzioni nel sostenere l’azione del Prefetto. Si tratta, ad avviso del Tribunale, di una manifestazione di rigetto dell’opera del Prefetto, che resta uno degli aspetti più significativi in questa vicenda”.
Da quei consiglieri comunali, secondo i giudici, ci si aspettava altro. Cosa? “Segnalazioni e prove per allargare il raggio d’azione della Prefettura, dovendosi ritenere primario interesse della comunità anche calabrese l’eliminazione dal mercato delle imprese inquinate”. (12/continua)
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