BRESCELLO (Reggio Emilia) – Nella primavera del 2015, pochi mesi dopo la maxi-operazione Aemilia, negli ambienti politici e istituzionali della città circolavano voci sul possibile invio di commissioni d’indagine per valutare eventuali infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa di alcuni comuni della provincia. Giravano i nomi di Montecchio, Bibbiano, Gualtieri, Reggiolo e Brescello. In giugno, la scelta del prefetto Raffaele Ruberto cadde sul paese di Peppone e don Camillo.
Nel settembre 2014 le parole dell’allora sindaco Marcello Coffrini su Francesco Grande Aracri, condannato per mafia e fratello del boss Nicolino, avevano destato scalpore e incredulità. I commissari passarono al setaccio l’attività amministrativa degli ultimi tre sindaci, tutti di sinistra: Ermes Coffrini, Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini. Prese così il via un meccanismo che avrebbe portato nell’aprile 2016 allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, lasciando in paese uno strascico di risentimenti per quel provvedimento vissuto da molti brescellesi come un’ingiustizia.
Ma è davvero così? Nella relazione finale della commissione prefettizia si legge che “l’atteggiamento di acquiescenza degli amministratori comunali nei confronti della locale famiglia malavitosa si è poi trasformato in una condizione di vero e proprio assoggettamento”. Sulla base della relazione, la procura di Reggio aprì 8 fascicoli d’indagine, per lo più su irregolarità in ambito edilizio e per abuso d’ufficio, tutti poi archiviati. Per chi contestò le conclusioni della prefettura, è la dimostrazione che il commissariamento era ingiustificato. Per la Direzione Nazionale Antimafia, invece, Brescello è un “tangibile esempio” di come la ‘ndrangheta agisce in Emilia, operando “un vero e proprio inquinamento della società civile, del mondo economico e politico”.
A Brescello abitava Alfonso Diletto, numero due della cosca, capo della zona della Bassa reggiana e di Parma. A Brescello abitava appunto Francesco Grande Aracri, che il pubblico ministero Beatrice Ronchi ha definito “la ‘ndrangheta in Emilia”. Nel novembre scorso, concludendo la requisitoria del processo Grimilde sulle attività della cosca a Brescello e non solo, la Ronchi ha osservato con amarezza: “E’ sconfortante il numero delle persone che negli anni hanno scelto di avere a che fare con i Grande Aracri: senza di loro, la mafia non ci sarebbe”. (5/continua)
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