REGGIO EMILIA – Il metodo mafioso c’entra, come risulta provato il pestaggio di un detenuto nel carcere bolognese della Dozza avvenuto il 15 marzo di nove anni fa e svelato dal pentito Giuseppe Giglio durante il maxiprocesso Aemilia. La decisione della corte, presieduta da Luigi Tirone, è arrivata in tribunale nel primo pomeriggio, dopo oltre tre ore di camera di consiglio. E per due ‘ndranghetisti di spicco della cosca emiliana – considerati i mandanti di quelle botte – sono scattate le condanne: 2 anni di reclusione per Gianluigi Sarcone (giudicato con rito abbreviato, quindi con sconto di pena di un terzo) e 2 anni e 2 mesi di carcere per Sergio Bolognino (a processo con rito ordinario). Considerati esecutori materiali di quell’aggressione in cella i campani Mario Temperato ed Enrico Palummo, da qui la condanna per entrambi a 3 anni di reclusione.
Quindi il racconto di Giglio è stato ritenuto credibile dai giudici: lo spesino Francesco Madonna (cioè la persona che fa acquisti alimentari per i detenuti) venne pestato per aver mancato di rispetto ai due calabresi che poi fecero agire i due campani in un intreccio di supremazia in carcere riconosciuta alla ‘ndrangheta da parte di detenuti legati alla camorra, nello specifico ai casalesi. Tutti e quattro gli imputati dovranno risarcire con una provvisionale complessiva di 10mila euro la Regione Emilia Romagna costituitasi parte civile, con rinvio del globale risarcimento-danni ad un ulteriore processo civile.
La sentenza ha comunque attenuato le accuse: è caduta la violenza privata, escluse le aggravanti della premeditazione e dell’agevolazione mafiosa. Collegati in videoconferenza i quattro imputati dalle rispettive strutture carcerarie, ma il solo Temperato ha fatto dichiarazioni spontanee, negando tutto con parole accorate. Nessun commento a fine-udienza, anche se trapela soddisfazione da parte della pm antimafia Beatrice Ronchi, mentre tira aria di ricorso in appello da parte degli avvocati difensori.
Atti in Procura per lo spesino: con la sua deposizione considerata lacunosa ora rischia l’accusa di falsa testimonianza.
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