REGGIO EMILIA – “Il profilo dei soggetti che usufruivano dei benefici economici utilizzando le false fatture emesse dalle società cartiere è quello tipico dell’evasore fiscale, con una dichiarazione dei redditi nulla o molto bassa e un tenore di vita sproporzionato, con beni e auto di lusso”.
Con queste parole il comandante della guardia di finanza di Reggio Emilia, il colonnello Ivan Bixio, ha definito le società – 27 quelle destinatarie delle misure cautelari – che facevano affari con la “cellula ‘ndranghetistica emiliana”. Questo il contesto infatti descritto nell’ordinanza firmata dal giudice Alberto Ziroldi, su richiesta del pubblico ministero della Dda, Beatrice Ronchi. Le indagini avevano fatto emergere la presenza di un gruppo dedito alla commissione di reati finanziari, il cui terminale era Salvatore Muto, classe 1985, già condannato con rito abbreviato nel processo Perseverance.
Le società cartiere riconducibili al gruppo, secondo il Gip, emettevano fatture false e fornivano contanti a società legali che operavano nei più svariati settori. Queste, appunto, ne traevano profitti abbattendo l’imponibile e dichiarando l’Iva per prestazioni mai effettuate. Nell’elenco spicca sicuramente la F.N. Group srl, società in liquidazione con sede in provincia di Fermo, ma che ha tra i propri amministratori il reggiano Nicola Ferrari: in base agli accertamenti, tra il 2018 e il 2019 avrebbe realizzato un profitto di oltre 777mila euro. Quasi 200mila euro (173.756) quello calcolato per la ditta individuale operante nel settore edile con a capo Riccardo Lombardo e sede legale a Casina.
Lombardo, originario di Agrigento, era titolare di contratti di locazione finanziaria per auto di lusso, di mezzi pesanti, ma dichiarava un reddito definito “inadeguato” al tenore di vita. Stessa definizione per il reddito dichiarato da Massimo Graziano, legale rappresentante della Transgea società cooperativa, già oggetto di diverse segnalazioni di operazioni sospette da parte delle Fiamme Gialle: avrebbe tratto un profitto di quasi 105mila euro.
Sono 15 le società sottoposte a sequestri che hanno sede a Reggio Emilia e provincia: diverse ditte individuali, con titolari anche stranieri, ma la maggior parte sono srl. Complessivamente, nell’inchiesta ci sono 77 indagati, tra loro anche Luigi Codeluppi, all’epoca dei fatti legale rappresentante della Dimora d’Abramo. Gli vengono contestate fatture emesse nel 2019 del valore complessivo di 59.900 euro. “Non conosco con precisione le ragioni per le quali sono indagato – le sue parole – Sono però assolutamente certo di essere del tutto estraneo a qualsiasi comportamento diverso da una corretta e trasparente condotta in materia fiscale. Tutte le fatture in capo alla cooperativa – ha aggiunto – corrispondono sempre ed esclusivamente a prestazioni effettivamente ricevute e, per questo, iscritte a bilancio e trasparentemente documentate così come prevede la legge. Sono molto rammaricato della pubblica evidenza acquisita da un caso che, ne sono certo, non potrà che concludersi con il riconoscimento del corretto operare mio e della Dimora d’Abramo”.
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