BOLOGNA – Nella sentenza di primo grado sulla drammatica vicenda di Saman Abbas “più parole avrebbero dovuto essere scritte per restituire l’inumanità, l’atrocità, il contesto e la modalità dell’uccisione di questa giovane ragazza, e meno parole erano necessarie, invece, rispetto a quelle che sono state scritte nella corposa motivazione, per valutare oggettivamente tutti i fatti e per comporli seguendo un ragionamento lineare, logico, rigoroso e rispettoso delle evidenze processuali”. La sostituta procuratrice generale Silvia Marzocchi ha esordito così, criticando duramente la sentenza di primo grado, nella sua requisitoria nel processo di appello per i cinque familiari della giovane pachistana uccisa a Novellara.
L’appello della Procura si concentra sull’assoluzione dei due cugini, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz e sull’esclusione dell’aggravante della premeditazione. Secondo la pg, la Corte di assise di Reggio Emilia ha eliminato prove decisive, “travisando le dichiarazioni di testimoni, discostandosi dagli accertamenti peritali, fino a costruire uno scenario che offusca la realtà, che è purtroppo più basilare, nella sua drammaticità”.
La pm reggiana, Maria Rita Pantani, applicata nel giudizio di appello, si è soffermata nella ricostruzione della giornata del 29 aprile 2021, il giorno prima dell’omicidio, e sul video dove furono ripresi lo zio Danish Hasnain e i due cugini, con in mano delle pale. Per Pantani “al di là di ogni ragionevole dubbio quel giorno hanno scavato la fossa, poi riempita il giorno dopo. Nessun lavoro venne loro commissionato”, ha detto, confutando un passaggio della sentenza di primo grado.
In mattinata ad aprire l’udienza era stato l’archeologo forense Dominic Salsarola, che la procura ha ottenuto di risentire in questo secondo grado e che ha ribadito che a mettere nella fossa Saman Abbas furono almeno due persone. Questo aspretto è uno dei punti irrisolti della vicenda che ruota attorno all’omicidio della 18enne di Novellara. In primo grado solo lo zio della ragazza è stato ritenuto l’esecutore materiale dell’uccisione, mentre i genitori sono stati condannati come mandanti. La salma è stata trovata “in posizione supina, con lo sguardo rivolto verso il cielo, le braccia spostate verso destra”, ha detto ancora Salsarola. E’ stata “calata, non buttata”. Da qui la difficoltà di azione per una persona sola. Poi proprio lo zio, Danish Hasnain, ha preso la parola, sollecitato dal presidente della corte, Domenico Stigliano, che gli ha chiesto se fosse disponibile a raccontare cosa aveva visto la sera dell’omicidio, dal momento che in una precedente udienza aveva riferito di essere presente e di aver visto altri due imputati, i cugini di Saman, che scavavano la fossa per la ragazza.
“Quando scavavano ero presente, ma quando l’hanno sepolta non ero più lì – ha risposto – Mi hanno chiesto di aiutarli e io mi sono rifiutato. Ad alta voce ho detto di no, loro mi hanno detto di abbassare la voce e hanno ripreso in silenzio. Si sono allontanati con la salma e non ho visto come l’hanno sepolta. Sono andato a casa, ero molto provato, sono stato 10-15 minuti a piangere. Dopo, sono arrivati anche loro e abbiamo dormito tutta la notte”. In precedenza, Danish aveva detto di averli aiutati a spostare la terra: “Sì, ho solo spostato la terra”, ha risposto.
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