REGGIO EMILIA – Sono medici “figli del covid”. Erano al terzo anno di università quando la pandemia è scoppiata, sparigliando le carte dappertutto, anche quelle che si erano immaginati per il proprio cammino. In questi giorni, nella sessione di luglio di Unimore, 16 reggiani 25enni hanno pronunciato il giuramento di Ippocrate e sono stati proclamati dottori in Medicina e Chirurgia. Subito abilitati, questa la grande differenza rispetto a prima della pandemia. Perché c’è bisogno di loro, e la risposta di questi giovani medici è incoraggiante ed è una piccola iniezione di fiducia per il futuro nel dibattito che non cessa, fatto di preoccupazioni per la tenuta della sanità pubblica e per settori al collasso.
“E’ stato uno stimolo. Viene voglia di dare una mano”. Lisa Bondavalli è di Fogliano e ha sostenuto il test per entrare nella specialità di Emergenza Urgenza. Vorrebbe, insomma, fare il medico di pronto soccorso. Una scelta controcorrente. “E’ un settore stimolante, una parte adrenalitica, non ci si annoia mai. Ci sono anche i contro che tutti sappiamo: è un ambiente delicato, che ti spinge però a dare tanto”.
E racconta anche dei suoi colleghi. Alcuni passeranno un anno tra sostituzioni sul territorio o guardie mediche; un paio tornerà in Africa: sette di loro lo scorso anno hanno passato un mese a dare una mano in un ospedale della Tanzanìa; oppure sceglieranno specialità in cui la forza lavoro manca.
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