REGGIO EMILIA – All’alba di questa mattina oltre 60 militari della Guardia di finanza di Reggio e di altri reparti specialistici del corpo hanno dato vita all’operazione Ottovolante eseguendo misure cautelari e sequestri per usura ed estorsione.
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Strofinava l’indice col pollice, riferendosi chiaramente alle somme di denaro. Faceva riferire da parte sua ad una vittima di usura di “rientrare col pagato” per evitare guai. Da dietro le sbarre non si preoccupava di far sapere chiaramente ai propri collaboratori di ‘mandare i suoi saluti al debitore’. Parole e gesti di Giambattista Di Tinco, ancora lui. L’amministratore unico della Dg Service di Calerno, già coinvolto nell’inchiesta Minefield, è finito di nuovo in carcere. Secondo quanto emerge dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, che sono state la chiave dell’operazione della Guardia di finanza Ottovolante, l’imprenditore reggiano di origine pugliese era al vertice di un gruppo di persone – cinque in tutto gli indagati, tra cui uno ai domiciliari e un altro con divieto di dimora – che si occupava di riscuotere tassi di interesse altissimi, fino al 177%. Le accuse a vario titolo sono usura, estorsione e favoreggiamento reale.

Quattro le vittime finora accertate, tutti imprenditori medio-piccoli in difficoltà operanti in varie settori: a fronte di prestiti erogati per circa 200mila euro, i soli interessi usurari, hanno ricostruito gli inquirenti, hanno toccato quota 413mila euro. Gli scambi sarebbero avvenuti anche alla Dg Service, e a casa di Di Tinco a Taranto sono state trovate somme di denaro nascoste un po’ ovunque, anche dietro il filtro dell’asciugatrice. Di Tinco, che stava scontando i domiciliari in Puglia, avrebbe intercettato nel corso del tempo le vittime tramite la sua attività, che si occupa di noleggio di furgoni, attrezzature per l’edilizia, piattaforme aeree e macchine per il movimento terra. Una di queste, ad esempio, viene velatamente minacciata da uno dei presunti riscossori proprio mentre si reca a consegnare un furgone. Un anno fa, con sviluppi ulteriori la scorsa estate, Minefield portò a strocare un giro di fatture false che avevano fruttato 4 milioni di profitti, con imposte evase dalle società coinvolte per più di sei milioni. In quell’ambito emerse la denuncia di un imprenditore campano: dalla sua testimonianza gli inquirenti sono partiti arrivando a trovare le altre vittime, ma ce ne sono probabilmente molte altre. In quell’inchiesta, l’azienda di Di Tinco figurava come destinataria di fatture per operazioni inesistenti per un imponibile di 41mila euro, ma nella veste di amministratore occulto di alcune società cartiera l’imprenditore, secondo l’accusa, avrebbe procurato clienti per le fatture false dell’organizzazione. Alcuni dei principali indagati, intercettati al telefono, si riferivano a lui chiamandolo “Dolce”, abbreviazione di Dolce & Gabbana, e “lo stilista”.
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