REGGIO EMILIA – Dopo l’inchiesta Aemilia si poteva forse pensare – sbagliando – che le malefatte portate alla luce dagli inquirenti non ci riguardassero direttamente, che fossero solo farina del sacco degli ‘ndranghetisti. E che gli emiliani coinvolti, come gli imprenditori reggiani Mirco Salsi e Giovanni Vecchi e il modenese Augusto Bianchini o, per un altro verso, Marco Gibertini, fossero l’eccezione che conferma la regola.
Dopo la montagna di fatture false venuta a galla con l’operazione Billions della Procura, questa lettura non regge più, neppure per sbaglio. Una delle figure chiave dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, è Luca Bonacini, 55 anni, di Quattro Castella. A suo carico il giudice ha disposto il sequestro di quasi 3,8 milioni di euro di proventi illeciti, in solido con altri indagati.
Ma la storia non finisce qui. Leggendo l’ordinanza del gip Luca Ronconi si trovano almeno 50 indagati di origine calabrese, ma scorrono anche decine e decine di cognomi reggianissimi: Fontanesi e Allegri, Crotti e Donelli, Anceschi e Onfiani, Spadoni e Ferretti, Menozzi, Tincani, Ferrari e così via. Nella ricostruzione della Procura, il ruolo della maggior parte di questi indagati è quello dei complici. Con l’eccezione di Bonacini, non sono accusati di essere i promotori della frode, ma non sono neppure semplici “galoppini”. Sono, a seconda dei casi, collaboratori, contabili, ma più spesso titolari o amministratori delle aziende che ricevevano fatture per operazioni inesistenti dalle società cartiera dell’organizzazione.
Chi conosce bene le carte invita alla cautela, a non pensare che l’operazione Billions sia la fotografia dell’evasione fiscale a Reggio Emilia. D’altra parte, non si possono chiudere gli occhi di fronte al fatto che nella nostra città c’è anche questo, che tanti reggiani si sono prestati a essere una pedina nel gioco di questi professionisti della frode fiscale. Non lo hanno fatto gratis, va detto: i 24 milioni di euro evasi li hanno rubati a noi.
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