REGGIO EMILIA – A pochi giorni dall’inizio del processo per l’omicidio di Saman Abbas, in Pakistan continuano i rinvii nella vicenda dell’estradizione del padre della ragazza mentre in Italia lo zio si difende: “Non l’ho uccisa io”.
Pakistan e Italia, Islamabad e Reggio Emilia. Il padre e lo zio che sembrano, a ora, uno contro l’altro. Strategie pre processuali o la verità su quello che successe il 30 aprile 2021? Solo il processo lo dirà, un processo il cui inizio si avvicina. In pratica, nonostante la vicenda della scomparsa di Saman Abbas tenga banco a livello nazionale da un anno e mezzo, tutto deve ancora avere cominciare. “Non l’ho uccisa io”, così avrebbe detto alla polizia penitenziaria Danish Hasnain, lo zio della 18enne di Novellara, il principale imputato tra i cinque parenti dal momento che è considerato dalla procura l’esecutore materiale del delitto. “La tenevamo ferma mentre Danish la strangolava”, diceva uno dei due cugini.
In effetti, una lesione compatibile con lo strangolamento è emersa durante l’autopsia sul corpo di Saman. Non si è trovato per un anno e mezzo, quel corpo, poi proprio Danish ha parlato: pochi giorni dopo l’arresto in Pakistan del padre di Saman, latitante da un anno e mezzo, Danish ha chiesto di conferire con gli inquirenti: ha indicato dove scavare, in viazza Reatino a Novellara, nel casolare a 700 metri dall’abitazione degli Abbas. Saman era lì, in un buca profonda più di un metro. Ma “non l’ho uccisa io”, ha appunto detto Danish: “Io non
voglio avere una condanna per colui che ha ucciso Saman”, ha aggiunto.
Ha ammesso, però, di aver accompagnato i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq a seppellirla, sempre con gli inquirenti avrebbe ricostruito il percorso di quella notte. Danish avrebbe detto di essere stato prima chiamato da Shabbar, il padre di Saman, e di non aver risposto, poi di essere stato raggiunto mentre dormiva dai cugini e di averli seguiti verso la casa degli Abbas. Avrebbe visto in terra, tra le serre, il cadavere della ragazza e ha aggiunto che i cugini avrebbero incolpato la madre di Saman, Nazia Shaheen, anche se secondo lui non era andata veramente così. Quindi, i tre avrebbero portato il corpo nel casolare diroccato in strada Reatino, dove c’era una pala già pronta per scavare.
Intanto, anche a Islamabad, dove si trova in arresto da metà novembre, Shabbar continua a dire di non sapere cosa sia accaduto alla figlia. L’Italia vuole la sua consegna, il Pakistan continua a rinviare la questione: pubblico ministero e avvocato difensore hanno dibattuto sulla
correttezza della documentazione. La corte ha stabilito di posticipare di nuovo tutto al 7 febbraio.