REGGIO EMILIA – La Corte d’assise d’appello di Bologna ha sostanzialmente confermato la condanna di primo grado per Mirko Genco, il giovane che due anni fa prima violentò e poi uccise accoltellandola la sua ex Juana Cecilia Hazana Loayza nel parco di via Patti, in città.
La condanna, in realtà, è stata rivista in modo lievemente peggiorativo: da 29 anni e 3 mesi è passata a 30 anni, il massimo previsto dall’ordinamento se si esclude l’ergastolo. Pena, quest’ultima, che era stata chiesta dalla procura reggiana. La corte ha però ritenuto la sussistenza delle attenuanti generiche. Il leggero inasprimento si deve al riconoscimento del reato del furto della borsetta di Cecilia da parte del suo assassino, che impossessatosi delle chiavi entrò in casa di lei tra la prima e la seconda aggressione alla ragazza.
Soddisfatta per la sentenza la madre: “Non mi restituisce mia figlia, ma è stata fatta giustizia”, ha detto uscendo dall’aula. Sentito al telefono, Vincenzo Belli, difensore del 27enne condannato, sottolinea come al centro della sua richiesta vi fosse l’intenzione di spiegare la necessità di una pena sì importante ma diversa dall’ergastolo. In aula Genco era presente e ha reso dichiarazioni spontanee, chiedendo perdono. “Chiedo scusa soprattutto al figlio di Cecilia – le sue parole – so cosa significhi crescere senza una madre”. Il riferimento è al passato dell’omicida, la cui madre fu uccisa a Parma all’età di 39anni dall’uomo con cui aveva avuto una relazione. “Nulla potrà porre rimedio a ciò che ho fatto”, ha aggiunto Genco raccontando di come ora stia affrontando un percorso di riabilitazione assistito da uno psichiatra.
“Giustizia per Juana Cecilia”. All’insegna di questo slogan si è svolto un presidio di donne davanti alla Corte di Appello in occasione del processo, organizzato dalle attiviste di Non una di Meno che hanno rivolto un appello agli operatori della giustizia per una maggiore sensibilità verso questi casi.
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