REGGIO EMILIA – “Mirko Genco merita oppure no le attenuanti generiche?”. E’ dopo aver ripercorso le ultime drammatiche ore di vita di Juana Cecilia Loayza, uccisa dall’ex nel parco di via Patti la sera del 19 novembre 2021, che il giudice estensore delle motivazioni della sentenza di primo grado, Giovanni Ghini, fa e si fa questa domanda.
La più importante e dibattuta che la corte si è posta prima di condannare il 29enne, il 4 marzo scorso, non all’ergastolo, come aveva chiesto la procura, ma a 29 anni e 3 mesi. Ora le spiegazioni di quella scelta. La Corte, a quel quesito, rispose sì, e “per due ordini di ragioni”, si legge nelle motivazioni. Prima di tutto la piena confessione resa da Genco, che a poco più di tre ore dal ritrovamento del corpo della 35enne e dall’inizio delle indagini aveva reso dichiarazioni in tal senso.
Un approccio, prosegue Ghini, continuato con un atteggiamento collaborativo nel corso del processo anche da parte dell’avvocato difensore Alessandra Bonini. Poi c’è la questione del vissuto di Genco: più di un soggiorno in strutture al di fuori della famiglia e l’uccisione della madre da parte del compagno. L’assassino di Juana Cecilia, si ricorda nelle motivazioni, è affetto da un lieve ritardo mentale e da una psicopatia antisociale che lo rende “refrattario alle regole della convivenza civile”.
Genco uccise la sua ex fidanzata e madre di un bimbo piccolo dopo averla tormentata con atti di stalking; quella sera, prima di accoltellarla con una lama prelevata nell’abitazione della vittima, la violentò. Ghini distingue nettamente tra confessione e pentimento: “Se Genco sia pentito o no è affare solo suo e della sua coscienza – scrive – non della giustizia umana”.
Quasi sicuramente la procura farà appello. Il pm Maria Rita Pantani nella requisitoria aveva definito l’uccisione di Cecilia “come uno dei delitti più efferati compiuti nella nostra provincia”.
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