REGGIO EMILIA – Giovanna Badalassi economista ideatrice insieme a Federica Gentile del blog Ladynomics, un prezioso strumento di conoscenza e interventi critici per chi come me si occupa di temi legati all’eguaglianza di genere da anni. Ma prima di entrare nel vivo delle tue competenze faccio anche a te una domanda consueta, ma utile: com’è che, a conclusione dell’esperienza liceale, hai scelto economia?
“A scuola sono sempre andata bene più o meno in tutte le materie, senza particolari predilezioni. Finito un liceo classico molto impegnativo, per il quale sono stata immersa nell’antichità per cinque anni, avevo davvero bisogno di immergermi nel presente e nel futuro, in una dimensione contemporanea. In più non avevo una particolare predisposizione per qualche materia, mi piaceva tutto, ed economia si presentava come una facoltà molto eterogenea, con tante materie diverse, oltre all’economia, come il diritto, la matematica, le lingue, la statistica. Per una come me, attratta da tutto quello che si può imparare di nuovo è stata davvero la scelta giusta”.
SROI, ossia social return on investment. Possiamo dire che produce un racconto qualitativo e monetario dell’efficacia di un modello di intervento nel modificare lo status quo. Insomma in altre parole si potrebbe dire che aiuta a stimare in termini economici l’impatto sociale prospettico di un programma di intervento pubblico .Cosa c’entra lo SROI con la violenza di genere?
“Lo SROI (Social Return On Investment) è un indice molto in uso nel mondo della filantropia e del sociale anglosassone per misurare il ritorno in termini di valore sociale ed economico di un investimento monetario, selezionando così i progetti con la resa migliore rispetto all’impatto che sono in grado di produrre sulle persone e sulla società.
Grazie ad una ricerca di WeWorld, che ho condotto assieme alla collega Clodia Vurro, abbiamo provato ad applicare questo indicatore all’investimento che sarebbe necessario per attuare pienamente la Convenzione di Instanbul contro la violenza sulle donne, con l’obiettivo di ridurla in mondo considerevole e realizzare così degli importanti ritorni per tutta la società.
Questa indagine è stata la prosecuzione di una ricerca precedente di WeWorld sui costi economici e sociali della violenza contro le donne (“Quanto costa il Silenzio? Indagine nazionale sui costi economici e sociali della violenza contro le donne”) che avevo curato assieme ad altre colleghe, che aveva restituito un costo di 17 miliardi all’anno relativo ai danni umani, sociali, sanitari ed economici.
A fronte di questa cifra imponente ci siamo allora chieste quanto sarebbe il ritorno sociale per ogni euro investito in politiche di prevenzione o interventi di contrasto, cura e presa in carico che impediscano il ripetersi della violenza, e quali interventi sembrano avere i ritorni sociali più promettenti.
Abbiamo così calcolato che per ogni euro investito nella prevenzione e contrasto della violenza contro le donne se ne producono 9,05 in termini di ritorno sociale, con un effetto moltiplicatore che fa da volando ad una serie di ricadute positive a vantaggio di tutte e di tutti.
In particolare, investendo 84 mln di euro e sostenendo 284 miln di euro in costi addizionali si produrrebbe un ricavo sociale di 1.084 mln di euro. Lo Stato risparmierebbe 494,6 Mln di euro e il valore di benessere e di qualità della vita prodotto per le donne arriverebbe a 553,8 mln di euro”.
Dunque appurato che prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne non ha solo un contenuto etico, ma anche economico guardiamo ora al PNRR ossia al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Nell’audizione informale alla Camera dei Deputati alla quale ha partecipato Ladynomics avete sollevato diverse questioni. Parto da una questione di estrema rilevanza, almeno a mio giudizio: “Adottare il concetto di cura come visione d’insieme del Piano”. Ti chiedo: perché?
“Perché questa non è stata una guerra né una crisi nata dall’economia. Bensì una crisi nata dal mondo della salute e dunque della cura. E’ stata insomma la crisi delle donne nella misura in cui le donne nelle nostre famiglie ma anche nella nostra società ed economia svolgono un ruolo prevalente nella cura delle persone, sia gratuita che retribuita. Le donne durante la crisi Covid sono quindi allo stesso tempo le principali protagoniste negli ospedali, nella ricerca, nella didattica a distanza, nel volontariato, nelle famiglie, ma anche le principali vittime, a partire dalla perdita dei 344.000 posti di lavoro tra il 3°Trimestre 2019 e il 3° trimestre 2020 (Istat), legati soprattutto alle occupazioni a contatto con il pubblico, oltre ai 99.000 registrati nel solo mese di dicembre 2020 (Istat).
E’ da dubitare, quindi, che le soluzioni per superare una crisi economica possano andare bene anche per superare una crisi di cura, e a nostro parere una profonda riflessione su questo punto andrebbe fatta. E’ importante inoltre ricordare che la crisi di cura scatenata dal Covid si va a sommare ad altri tipi di crisi di cura, come quella del pianeta dovuta alla crisi climatica, e quella prodotta dall’impatto sociale della rivoluzione tecnologica. Si tratta quindi di tre crisi di cura differenti che si stanno manifestando tutte contemporaneamente e alle quali il PNRR deve dare una risposta equilibrata.
Declinare rispetto a questa definizione ampia di cura la visione globale del piano darebbe quindi una maggiore consapevolezza sugli obiettivi che si vogliono raggiungere”.
Dice Virginia Wolf: “Sarebbe mille volte un peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come gli uomini, poiché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come ci si potrebbe accontentare di uno solo?”. Ladynomic prende in parola la grande Wolf e suggerisce di prevedere nel PNRR una governance paritaria: prevedi che resterà una raccomandazione inascoltata?
“Una Governance paritaria per il PNRR offrirebbe una prospettiva di genere a nostro parere indispensabile soprattutto in presenza di una crisi di cura, apportando una diversa scala di priorità di valori sociali e anche economici in grado di leggere con maggiore consapevolezza le diverse dinamiche di questa crisi e dunque la diversa strada da percorrere per uscirne. Non è solo quindi una richiesta di pari opportunità, quanto di capacità e di diversity. I paesi guidati da donne hanno infatti dimostrato di saper governare meglio le sfide poste dal Covid. La diversa prospettiva delle donne, educate da secoli alla cura delle persone, e abili nell’esprimere un tipo di leadership diversa nei modi e nei valori è quindi a nostro parere indispensabile anche nella Governance del PNRR. Ovviamente questa decisione non può e non deve andare a scapito delle capacità e delle competenze, ma su tale punto, dati i risultati negli studi e nel lavoro già dimostrati, anche nella leadership aziendale, siamo sicure che non vi saranno problemi a trovare donne meritevoli al di là di stereotipi e pregiudizi che in questo momento non ci possiamo davvero più permettere. Credo che sia importante continuare a insistere e a chiedere sempre una Governance paritaria, non fine a sé stessa ma contribuendo a definirla attraverso contenuti e i vantaggi che una visione di genere può offrire. Questo processo è comunque già avviato e, per quanto lento comunque sta progredendo. Dobbiamo però ricordarci che le persone capaci e competenti raggiungono i ruoli apicali senza scorciatoie, dopo decenni di carriera. Vedremo quindi i risultati di questo processo di governance paritaria tra qualche anno ancora, ma di sicuro è già in atto”.
Le donne e il tempo: un tema chiave. Le donne hanno fame di tempo e questo è tanto più vero quanto meno hanno risorse economiche. Nella Grecia antica si distingueva tra “kronos”, il tempo seriale, e “kairos” il tempo umano dei propositi, quello più prezioso che serve allo sviluppo del capitale umano. Soprattutto quest’ultimo è una riserva scarsa per le donne. Le politiche temporali delle città , risalgono a 20 anni fa, hanno avuto una sporadica applicazione e modesti esiti. Quanto è importante redistribuire equamente e quindi democraticamente il tempo libero tra uomini e donne, anche sotto una prospettiva di crescita socio-economica?
“Ovviamente un corretto bilanciamento nell’uso del tempo tra donne e uomini è fondamentale, sia in termini quantitativi che qualitativi, con dei risvolti in termini di vantaggio per tutti che troppo spesso vengono trascurati. Oggi questo squilibrio in Italia è ancora considerevole e blocca il contributo che le donne possono offrire al benessere delle famiglie e alla crescita del paese, se vogliamo dirla tutta, anche alla crescita del PIL. Secondo i dati Istat del 2014, su 71 miliardi e 353 milioni di ore di lavoro non retribuito svolte in Italia (per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività), le donne ne hanno effettuati il 71%, cioè 50 miliardi e 694 milioni (dei quali 20 miliardi e 349 milioni di ore svolti dalle casalinghe, 13 miliardi e 713 milioni di ore dalle occupate e 11 miliardi e 683 milioni dalle ritirate dal lavoro).
Il lavoro retribuito invece ammonta a 41 miliardi e 794 milioni di ore, con il risultato che «Nel 2014 oltre 7 milioni di casalinghe da sole hanno effettuato un numero di ore di lavoro non retribuito simile a quello prodotto da poco più di 25 milioni di uomini di 15 anni e più».
Questo dato globale si riflette poi nella quotidianità che sperimentiamo a livello individuale: sempre i dati Istat ci ricordano che le donne dedicano al lavoro familiare mediamente 5 h 09 min al giorno, gli uomini 2 h e 22 min, mentre gli uomini dedicano al lavoro retribuito 8 h e 04 min, le donne 6 h 43 min.
Le donne complessivamente lavorano quindi più ore degli uomini nell’arco della giornata, rinunciando al proprio tempo libero: 4 h e 18 minuti contro le 5 h e 15 minuti degli uomini.
La crisi Covid ha rivoluzionato la vita di molte e di molti, mettendo in discussione la distribuzione e l’organizzazione dei tempi di famiglia e di lavoro, sia a causa dello smart-working che della DAD. Credo che quando usciremo dalla crisi saremo diverse e diversi anche sotto questo punto di vista, anche se non so ancora definire bene questo tipo di cambiamento che, a mio parere, ci sarà sicuramente”.
Pandemia: crollo del Pil mondiale, grandi numeri di uomini, donne e bambini precipitati in povertà, lavoratori e lavoratrici impoveriti. Il Covid è stato l’acido rivelatore di una pellicola sulla quale tutto era già impresso. Pensando al dopo pandemia credi che sia possibile, al di là dei proclami, evitare di tornare alla normalità del passato ossia a un sistema in cui politici e governi sono stati assoggettati alle ossessive misure di efficienza tipiche del neoliberismo?
“Credo che si sono e ci saranno spinte molto forti a tornare al passato, perché cambiare il sistema neoliberista significa anche aprire spazi per nuove leadership e rapporti di potere, quindi è inevitabile che i protagonisti del sistema attuale cerchino di resistere in ogni modo.
Credo però anche che la forza delle tre crisi di cura che ho citato, quella da Covid, quella ambientale e quella tecnologica sarà tale da produrre comunque cambiamenti importanti e significativi, anche se magari più lenti e progressivi di quanto vorremmo.
D’altronde tutti i sistemi economici evolvono con il cambiare del tempo e delle sfide della storia. Per quanto quello attuale, oramai stabile dagli anni 80, ci appaia al momento immutabile, la storia dell’economia ci mostra l’intrinseco legame con i cambiamenti della società, ed è certo che questi stanno già avvenendo e soprattutto avverranno in futuro.
Che la direzione di questi cambiamenti possa essere favorevole o deleteria per il benessere delle persone è poi tutto da vedere, ma certamente il contributo di tutti noi la può influenzare. Occorre infatti ritrovare quella dimensione collettiva che il neoliberismo ha eroso in favore di un individualismo che oggi si sta rivelando drammaticamente inadatto a fronteggiare le crisi globali. Il che vuol dire, rinforzare le relazioni sociali, aumentare la partecipazione e il livello della nostra democrazia, ridisegnare uno Stato più efficace ed efficiente.
In questo senso la partecipazione e il contributo sociale, economico e politico delle donne è quanto mai fondamentale, necessario e soprattutto auspicabile in un momento come questo”.
Natalia Maramotti
Chi è Giovanna Badalassi
Libera professionista esperta in valutazione, ricerca e analisi statistica delle politiche pubbliche in materia di Pari Opportunità, economia e politica di genere, welfare (Mercato del Lavoro, Politiche Sociali, Formazione), specializzata in Bilanci di Genere. Coautrice del blog www.ladynomics.it. Consulente tecnico presso enti pubblici, Università, Istituti di ricerca, Associazioni Datoriali e ONG. Autrice di diverse pubblicazioni su temi sociali, di genere e pari Opportunità.
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