REGGIO EMILIA – 2 ottobre 2020: sentenza di primo grado del processo sui delitti di ‘Ndrangheta del 1992. Assolti tre imputati su quattro, Nicolino Grande Aracri condannato per il solo omicidio Ruggiero. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo per tutti. 17 dicembre 2020, sentenza di appello del maxi-processo Aemilia: condanne praticamente dimezzate rispetto al primo grado. 23 dicembre 2020: Giuseppe Pagliani, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, assolto nel nuovo processo d’appello. C’è un filo conduttore che lega queste sentenze? Siamo di fronte a un’unica, grande sconfitta della Direzione distrettuale antimafia che comporta una rilettura di fatti dati per acquisiti fino a pochi mesi fa?
Secondo noi no e proviamo a spiegare perché. Nel processo Aemilia l’impianto accusatorio è stato confermato. Gli sconti in Appello sono dovuti a motivi tecnici: il secondo grado ha accorpato le condanne che in primo grado erano state divise tra rito ordinario e rito abbreviato, innescando il “cumulo delle pene“, e poi nel frattempo è intervenuta la prescrizione per molti reati fiscali.
Aemilia ’92 è un’inchiesta su delitti di oltre 28 anni fa, un periodo in cui le dotazioni tecnologiche non erano nemmeno paragonabili a quelle attuali. Le incertezze emerse oggi sulle telefonate intercorse allora, ad esempio, non esisterebbero con “semplici” intercettazioni. Piuttosto, quello che emerge è la diversa considerazione che le corti hanno via via avuto dei collaboratori di giustizia. Antonio Valerio ad esempio è stato ritenuto credibile nel filone principale di Aemilia, e proprio dalle sue parole e da quelle di un altro pentito, Angelo Cortese, è scaturita la riapertura dell’indagine sui delitti Vasapollo e Ruggiero. Ma nel corso del dibattimento di Aemilia 92 sono poi emerse contraddizioni tra i racconti dei due collaboratori di giustizia, il motivo principale – si legge nelle motivazioni – dell’assoluzione di tre imputati su quattro. Un altro pentito, Giuseppe Giglio, aveva accusato Giuseppe Pagliani: era stato lui a parlare di un “patto politico” tra Pagliani e la cosca. Ma in questo caso la ricostruzione di Giglio non ha convinto i giudici, che hanno assolto l’ex esponente del Pdl.
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