REGGIO EMILIA – A testimoniare per due ore è la volta del pentito Giuseppe Giglio nel tortuoso cammino del filone giudiziario reggiano di Perseverance, processo con rito ordinario contro la ‘ndrangheta emiliana giunto ormai a sfiorare i tre anni di udienze per i nove imputati. Il collaboratore di giustizia dei suoi trascorsi mafiosi mette in chiaro – come in Aemilia – che per lui non c’era stata nessuna cerimonia d’affiliazione, ma col tempo era diventato per la cosca un importante punto di riferimento sia nel meccanismo delle false fatturazioni, sia per le sue conoscenze professionali. Affari illegali da cifre astronomiche, con coinvolti anche diversi prestanome per eludere i controlli antimafia su aziende e beni in realtà appartenenti a personaggi con precedenti penali di mafia. Videocollegato da una località protetta, è apparso sofferente il crotonese Giglio che fino al blitz di Aemilia risiedeva con la famiglia a Gualtieri e si proponeva come imprenditore in special modo nel settore dell’autotrasporto.
Alle parole del pentito ha replicato, per smentirle,uno degli imputati, cioè Antonio Silipo, pure lui in videocollegamento dal carcere dove è ristretto. Si sta rivelando complessa la trascrizione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali legate all’inchiesta, da qui la concessione di una proroga al perito che se ne sta occupando. Per la pm antimafia Beatrice Ronchi la cosca emiliana “persevera” nonostante i continui arresti dal 2015 in avanti, rimarcandone gli aspetti salienti: il riposizionamento delle famiglie reggenti, i rapporti di potere in carcere, le false testimonianze in aula, la girandola di prestanome per le fatture false, i tentativi di occultare beni spesso milionari.
Dieci le parti civili costituitesi in questo processo finalmente proiettato, entro l’estate, verso la sentenza.
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