REGGIO EMILIA – “Spero paradossalmente che questo schifo di intimidazione possa servire a far risvegliare un interesse sul tema“. L’avvocato palermitano Rosario Di Legami sa cosa vuol dire essere minacciati, lo è stato anche lui. Sa cosa vuol dire lavorare per la legalità e contro le infiltrazioni malavitose. E, come il giudice del collegio del processo Aemilia Andrea Rat, vittima di un gesto intimidatorio sul quale si sta indagando, ritiene che da tempo, su questi temi, in pochissimi continuino ad alzare la voce. “L’attenzione deve tornare altissima, non deve declinarsi in criminalizzazione del tutto, ma non può essere, come a me è capitato a un convegno, ‘ah ma ancora di questo si parla?’. Non va bene”.
Disattenzione? Stanchezza? O addirittura insofferenza? Sta di fatto che il silenzio chiama il silenzio. “Altre emergenze quotidiane, anche di altre tipologia di criminalità minore interessano di più, il tema non è più mediatico. Il silenzio aiuta a non far parlare più di criminalità organizzata“.
Il suo lavoro di amministratore giudiziale prosegue, al netto di quelle che lui definisce “pastoie burocratiche” che rendono lentissimo il raggiungimento del vero obiettivo, che non è solamente sequestrare e poi confiscare beni sottratti alla ‘ndrangheta, ma valorizzarli, destinandoli alle comunità. A breve, dice, nel reggiano ci sarà l’assegnazione di diversi immobili. “Oltre che nei settori tradizionali, altri vengono alla luce come la ristorazione. La criminalità economica va dove c’è l’affare, con una potenza di denaro tale da rilevare società anche con prestanome”.
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