REGGIO EMILIA – Dice senza tentennamenti che i due omicidi di ‘ndrangheta nel Reggiano del 1992 siano attribuibili al gruppo Dragone e relativamente al delitto di Brescello colloca nel gruppo di fuoco una persona che non è imputata, cioè Aldo Carvelli. Chi parla, dietro al paravento nell’aula di Corte d’assise d’appello di Bologna, è il pentito 64enne Vittorio Foschini, un tempo ‘ndranghetista spietato gravitante su Milano e dedito al traffico di stupefacenti, autoaccusatosi di 17 omicidi e un tentato assassinio. Descrive Carvelli come un killer, soprannominato non a caso “Sparalesto”, ma non sa se a Brescello avesse guidato la Fiat Uno camuffata da auto dei carabinieri o sparato a Giuseppe Ruggiero. Un coinvolgimento nell’assassinio che non era piaciuto a chi guidava il gruppo ‘ndranghetista lombardo, con tanto di rimproveri piccati poi giunti allo stesso Carvelli e a Nicolino Grande Aracri, al tempo rappresentante dei Dragone.
Foschini ha anche rimarcato che, per smercio di droga, conosceva l’altro morto ammazzato, cioè Nicola Vasapollo. E aveva saputo che Vasapollo era stato ucciso “perché si stava comportando male”, a suo dire un’esecuzione voluta per motivi interni al clan. La deposizione di oltre un’ora del pentito, snodatasi su precise domande della pm antimafia Beatrice Ronchi, ha poi suscitato la reazione dei difensori degli imputati tesi a screditare il teste, in particolare da parte dell’avvocato Luigi Colacino che ha fatto riferimento a passate dichiarazioni di Foschini a verbale, ritenendole ben diverse da quanto detto stavolta nell’Appello bis.
In avvio di udienza è stata sentita per pochi minuti anche la vedova di Ruggiero. Tradendo il dolore che riaffiora, Maria Stella Camposano spiega che in quella tragica notte del 22 ottobre 1992 sentirono bussare violentemente alla porta d’ingresso, come se la volessero buttare giù. Lei e il marito si alzarono da letto, per poi affacciarsi dalla finestra della cucina. “Nel cortile c’era una macchina con il lampeggiante acceso – ricorda – pensammo che erano i carabinieri, ma non vidi nessuno né nel cortile né dentro l’auto, non sentii nessuna voce”. Una trappola che purtroppo funzionò, Ruggiero aprì la porta e gli spararono. Trovò la forza di rientrare nell’appartamento al primo piano dello stabile, la moglie impaurita chiuse in fretta la porta. Al marito, steso a terra ferito a morte, chiederà perché tutto questo, perché gli avevano sparato, ricevendone solo un drammatico “Non lo so”.
Veloci e solo per alcune precisazioni, le deposizioni del pentito Renato Cavazzuti e di Guglielmo Battisti che come dirigente della squadra mobile di Reggio Emilia ha chiuso l’inchiesta dei due omicidi su mandato della Dda di Bologna. Come sempre presente in aula solo l’imputato Antonio Lerose che dice a TgReggio: “Sono in piedi dalle quattro, faccio il fornaio, poi vengo qua, ma non c’entro nulla, una situazione insopportabile”.