REGGIO EMILIA – Inattendibile sotto diversi punti di vista e non solo. La collaborazione del boss della ‘ndrangheta Nicolino Grande Aracri – secondo i magistrati – celava un vero e proprio disegno criminoso.
Dopo aver ascoltato in più occasioni il boss di Cutro, la Dda è giunta a questa conclusione. “Le dichiarazioni del Grande Aracri risultano prive di sviluppo investigativo e, anzi, devono essere riferite a una fonte di prova dichiarativa non credibile”. Lo mettono nero su bianco nella relazione depositata nell’ambito di un procedimento in corso davanti al gip sulla richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere nei confronti del fratello Domenico Grande Aracri: la relazione è firmata dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dai pm Domenico Guarascio e Paolo Sirleo.
Gli stessi magistrati scrivono anche di avere il sospetto che “l’intento collaborativo celasse un vero e proprio disegno criminoso”. Quale l’obiettivo del boss, secondo i magistrati? Quello di infrangere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia contro di lui e dei suoi famigliari, valutate invece attendibili, e di scardinare alcune sentenze divenute irrevocabili.
La figura di Nicolino Grande Aracri è stata al centro del maxi processo Aemilia: nel troncone che ha riguardato i delitti avvenuti in provincia nel 1992, è stato l’unico condannato in primo grado all’ergastolo, il 2 ottobre 2020, per l’omicidio di Giuseppe Pino Ruggiero. Durante gli interrogatori con i magistrati della Dda, sono stati presi in esame proprio alcuni casi di omicidio. “Lei non è il picciotto, lo sgarrista, che può non sapere certe dinamiche omicidiarie in maniera approfondita”, gli fece presente il pm Guarascio. Il procuratore Gratteri, invece, commentò: “Grande Aracri, qua non possiamo andare avanti su ogni episodio, stiamo facendo un processo. Quando un killer, un estorsore, un usuraio diventa collaboratore di giustizia, si mette a parlare per una settimana e con tremila dettagli”.
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