REGGIO EMILIA – Rimane al carcere duro Nicolino Sarcone, cioè uno dei capi del clan ‘ndranghetista emiliano marchiato “Grande Aracri” che è stato inchiodato dalla maxi operazione Aemilia. La Cassazione ha infatti di recente confermato il regime detentivo ristretto per il boss cutrese 59enne che risiedeva a Bibbiano e dominava l’attività criminale a Reggio Emilia.
Paga il suo coinvolgimento in diverse indagini antimafia poi sfociate, nei tribunali, in pesanti condanne: dal processo Aemilia a quello sui due omicidi di mafia in territorio reggiano del 1992, dal procedimento Grimilde al successivo giudizio legato all’inchiesta Perseverance. Condanne che per i giudici dimostrano la persistente operatività della cosca d’appartenenza ed i rapporti mantenuti, indirettamente, da Nicolino con i fratelli, tutti colpiti da misura di prevenzione.
Il carcere duro era stato prorogato nel febbraio scorso dal Tribunale di sorveglianza di Roma. Provvedimento a cui Sarcone si era opposto con un ricorso tramite i suoi difensori. La Suprema Corte ha ora dichiarato inammissibile il ricorso difensivo, ritenendo che i magistrati romani hanno applicato il consolidato principio secondo il quale “ai fini della proroga del regime penitenziario differenziato – si legge nell’ordinanza – la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale non deve essere dimostrata in termini di certezza, essendo necessaria e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla base dei dati conoscitivi acquisiti”.
Negli ultimi nove anni, cioè dalla maxi operazione Aemilia in poi, si sono sviluppate non poche indagini contro la ‘ndrangheta, il che ha dimostrato come nelle nostre terre non sia per niente in disarmo il clan Grande Aracri, per gli inquirenti capace ultimamente di finanziare con il riciclaggio di denaro sporco chi si è adoperato per mettere le mani su alcuni dei locali più noti della movida di Bologna. Affari illegali, atti violenti, il comparto economico infiltrato. Non è finito nulla.