BOLOGNA – “Ci dissero ‘a Cutro, problemi di soldi non ve ne sono’, infatti per gli omicidi da commettere al Nord ci consegnarono 25 milioni di lire“. Una bella cifra nel 1992 che il pentito 60enne Angelo Salvatore Cortese scandisce con precisione, parlando a raffica dietro al paravento che lo protegge dagli sguardi dei presenti nell’aula in cui a Bologna la Corte d’assise d’appello affronta l’ennesima udienza dell’appello bis sui due delitti di ‘ndrangheta che 33 anni fa misero nel mirino Nicola Vasapollo (a Reggio Emilia) e Giuseppe Ruggiero (a Brescello).
Cortese lascia intendere che lui al tempo era “ndranghetista fino al midollo, basti pensare che nella schiena ha un grosso tatuaggio raffigurante la cerimonia del “battesimo” mafioso. Senza tentennamenti dice che a far scatenare il commando di fuoco fu l’uccisione a Cutro il 13 agosto 1992 di un uomo vicino ai Ciampà, cioè Paolino Lagrotteria. Un assassinio-vendetta che si rifà – sempre secondo il pentito – alla morte anni prima a Reggio Emilia di Giuseppe Vasapollo che morì soffocato nei bagni del night “Ciao Ciao” durante un rogo doloso appiccato per estorcere denaro al locale notturno. Per i Vasapollo responsabile della morte del loro congiunto fu Lagrotteria che riuscì a scappare fuori dal locale, da qui la ritorsione omicidiaria. “Un atto gravissimo – dice Cortese – perché a Cutro non si uccide senza autorizzazione e per di più la famiglia Ciampà, a cui Lagrotteria era legato, si ritrovò rovinata la festa per un matrimonio che si stava celebrando. Era stata rotta ogni regola, le famiglie Ruggiero e Vasapollo volevano rendersi autonome dalla cosca per portare avanti i loro affari illeciti. Era guerra aperta“.
Il collaboratore di giustizia è lapidario nel ricostruire quella faida: i tanti quattrini citati per finanziare i delitti vennero messi a disposizione dai Ciampà, dell’ organizzazione sanguinaria se ne occupò Nicolino Grande Aracri (“Un personaggio di alto livello”) che a quel tempo aveva come uomo di fiducia proprio Cortese. La spedizione per uccidere avvenne in auto, viaggiando per lo più di notte per evitare controlli delle forze dell’ordine. A Cremona venne ucciso Dramone Ruggiero il 6 settembre, poi fu la volta di Nicola Vasapollo (il 21 settembre) e di Giuseppe Ruggiero (il 22 ottobre). Una ricostruzione minuziosa che ha acceso, in aula, la contrapposizione fra la pm antimafia Beatrice Ronchi e gli avvocati difensori dei 4 imputati (Nicolino Grande Aracri e Angelo Greco videocollegati dai rispetti carceri, Antonio Lerose che è presente in aula, mentre è assente Antonio Ciampà detto “Coniglio”).
È una caccia alle contraddizioni nel racconto del pentito, perché la Cassazione tre anni fa ha rispedito al secondo grado il procedimento, annullando gli ergastoli che erano stati inflitti ai 4 imputati. Tutto, quindi, in discussione, ad eccezione dell’ergastolo definitivo per Grande Aracri come mandante dell’omicidio di Brescello.
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