REGGIO EMILIA – Doveva morire a 38 anni, il 16 aprile 1999, Giuseppe Sarcone Grande, il più vecchio dei quattro fratelli Sarcone. E invece quella sera il killer Paolo Bellini, che agiva per conto di Vincenzo Vasapollo, uccise per sbaglio il giovane nomade Oscar Truzzi, a bordo di un’auto parcheggiata in viale Ramazzini. Quell’errore fatale per Truzzi ha regalato a Giuseppe Sarcone Grande una seconda vita, un ventennio abbondante che lui ha attraversato senza particolari problemi giudiziari. Mentre i fratelli Nicolino, Gianluigi e Carmine finivano in carcere, lui restava fuori da inchieste e processi, sottoposto a sorveglianza speciale solo dal giugno 2020. Ma secondo la Dda di Bologna, aveva frequentato “ndranghetisti sin dalla giovane età, condividendo azioni criminali violente e strategie con i fratelli”. Finchè gli altri, sebbene pressati dalla giustizia, erano a piede libero, Giuseppe faceva da prestanome ai fratelli per proteggere il patrimonio dai sequestri. Poi, quando l’aria si è fatta pesante anche per lui, “ha mutato il proprio ruolo, da intestatario formale a gestore occulto”, ricorrendo a prestanome esterni alla famiglia.
L’analisi del perito nominato dal Tribunale di Reggio ha evidenziato che tra il 1990 e il 2013 il nucleo famigliare di Giuseppe Sarcone Grande ha speso 1 milione e 423mila euro in più di quanto ha dichiarato. Per gli anni fra il 2014 e il 2018 i Carabinieri di Modena hanno accertato un ulteriore squilibrio di 374mila euro.
Secondo il sostituto procuratore antimafia Beatrice Ronchi, dopo l’arresto dei fratelli fra il 2015 e il 2018, Giuseppe “ha assunto un ruolo centrale anche quale raccordo” fra gli esponenti della cosca in carcere e quelli in libertà. La linea la esplicita lui stesso in un’intercettazione del febbraio 2020: “Tutto quello che passa, deve passare dalle mani mie”.
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