REGGIO EMILIA – Il 23 maggio scorso la Rai ha trasmesso in prima serata “Aemilia 220. La mafia sulle rive del Po”. Il docufilm, avvalendosi degli atti giudiziari, di intercettazioni telefoniche e ambientali e delle testimonianze di inquirenti e giudici, racconta il processo di radicamento delle cosche di ‘ndrangheta nel nostro territorio, gli affari, le intimidazioni, le trame, i rapporti con esponenti della politica, delle professioni e delle forze dell’ordine. A più di una settimana dalla messa in onda, l’unica reazione pubblica suscitata dal documentario è stata quella di Forza Italia, adirata per l’attenzione riservata a Giuseppe Pagliani.
Un silenzio che ha spinto il Prefetto Maria Rita Cocciufa, attraverso i nostri microfoni, a ricordare ai reggiani che le vicende raccontate nel documentario non sono una lontana pagina di storia, ma la sfida del presente e che la ‘ndrangheta non è stata debellata.
Cosa c’è dietro questi silenzi? Probabilmente ci sono atteggiamenti e motivazioni diverse. Qualcuno tace perché sapeva già tutto e vedendo il documentario non ha scoperto niente di nuovo. Qualcuno tace perché, anche se era nelle condizioni di sapere tutto, non sapeva niente. Qualcuno tace perché, anche se non lo dice, pensa che siano affari loro, cose da mafiosi. Qualcuno tace perché ha fatto affari con loro, con i mafiosi. Qualcuno, soprattutto a destra, tace perché ha sempre visto come il fumo negli occhi l’inchiesta Aemilia, colpevole di aver indagato sui rapporti di alcuni esponenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia con gli ‘ndranghetisti. Qualcuno, soprattutto a sinistra, tace perchè, se parlasse, dovrebbe dire che per troppo tempo non si è capito quasi niente di ciò che stava accadendo.
Tutto tace, dunque. Ma chi trae vantaggio da tutto questo silenzio?
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