MILANO – Era nato a Reggio, in una famiglia di tradizione comunista, Alberto Franceschini. Da ex militante della Fgci, diede vita prima, in città, a un collettivo di studenti e operai, a cui appartenevano futuri brigatisti come Fabrizio Pelli, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Loris Tonino Paroli. Poi l’adesione a Sinistra Proletaria, gruppo milanese di militanti che ruotava attorno a Renato Curcio.
E’ con quest’ultimo, assieme a Mara Cagol, che Franceschini fondò le Brigate Rosse. Un pranzo in località Costaferrata vicino a Pecorile di Vezzano, fece da atto fondativo, nell’agosto del 1970, dando il via agli anni di piombo. In un intervista confermò la nascita in quell’occasione del simbolo con la stella a cinque punti abbozzato su un tovagliolo. Nello stesso luogo nove anni fa ebbe luogo una rimpatriata documentata dal film ‘Il sol dell’avvenire’, di Gianfranco Pannone.
All’inizio degli anni ’70 insanguinati dal terrorismo, Franceschini era iscritto a ingegneria. Facendo credere al padre di andare al Politecnico si diede invece alla clandestinità. Non presentandosi al servizio militare di leva, diventò il primo brigatista ufficialmente latitante.
E’ morto a 78 anni, 18 dei quali passati in carcere, condannato con sentenza definitiva per il sequestro del giudice Mario Sossi e per l’omicidio di due esponenti del Msi, avvenuto a Padova nel 1974, anno in cui viene arrestato, 26enne. In una foto della sua cattura lo si vede con un carabiniere in borghese che lo tiene per il collo. In un’altra foto, di due anni prima, è sua la mano che impugna la pistola puntata al volto di Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit Siemens sequestrato in uno dei primi atti delle Br.
Franceschini non si pentì mai della deriva estremista di cui fece parte, a un certo punto però se ne dissociò. Dopo il carcere ha lavorato a lungo a Roma per l’Arci. Da circa dieci anni era tornato a vivere a Milano.
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