
Ettore Fiorita con il nipote Pietro
MODENA – Ettore Fiorita è morto all’Ospedale Civico di Baggiovara alle 16:55 del 15 aprile 2020, all’età di 68 anni. E’ stato ricoverato all’ospedale di Sassuolo il 19 marzo e trasferito in terapia intensiva il 28 marzo all’ospedale di Baggiovara. La comunità modenese lo ricorda come un esperto di ricostruzioni di carriera all’ex Provveditorato agli studi di Modena e come insegnante di tecnologia in diverse scuole della provincia. Negli ultimi anni ha collaborato attivamente con la istituti scolastici di Modena e Reggio Emilia in qualità di esperto esterno in materia di ricostruzioni di carriera, della quale era uno dei pochissimi esperti in regione. Da giovane è stato membro fondatore e batterista dei Menabò, band che ha fatto la storia della musica italiana degli anni 70, lavorando con artisti come Alberto Anelli (autore di “L’importate è finire” di Mina), Dori Ghezzi, Adriano Pappalardo e suonando in club d’avanguardia europei come il Moulin Rouge di Parigi.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il ricordo scritto dalla figlia Manuela, professoressa di inglese al liceo Moro di Reggio e cantautrice e produttore artistico di musica.
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Ettore Fiorita con la figlia Manuela
Il funerale di mio padre. Da casa.
Stamattina ho vegliato sulla bara di mio padre dal telefonino. Così come negli ultimi venti giorni ho parlato con lui in video mentre dormiva, sedato ed intubato. E’ stato mio fratello Riccardo a farsi coraggio, ad andare alle camere ardenti e a cliccare alle 8:30 del 18 aprile sul pulsante Chiama di Google Duo per fare in modo che anche io, mia madre convalescente ed una intera splendida famiglia da ogni parte dell’Italia potessimo almeno renderci conto di quello che è successo, a lui e a tutti noi.
Abbiamo pianto insieme, poi, lentamente, ci siamo consolati nel raccontare episodi divertenti di quel burlone che mio padre è sempre stato. Non a caso noi lo chiamiamo così… Nonno Burlone.
E nell’abituarmi a questa quarantena social, ai medici che piangono al telefono perché non hanno pace, al dolore via web e al fatto che le distanze sono ormai diventate la normalità, ho riflettuto. Ho riflettuto sul fatto che l’assurdità non è stata tanto dover vedere mio padre spegnersi da uno schermo. Non è stata non poter vedere la faccia dei medici e degli infermieri che lo curavano, non è stata nemmeno doversi inventare una veglia online che di fatto ci ha tenuti assieme anche se non fisicamente. E’ stato strano in effetti ma altro non si poteva fare. La vera tragedia è stato il dover constatare che questo Paese è ancora diviso da una politica che non ha mai avuto realmente l’interesse di tutelarci. La politica non ci riesce perché non vogliamo accettare che alla fine siamo noi il tessuto di quelle istituzioni. Quando smettiamo di combattere per migliorare la qualità della vita, delle scuole, della ricerca diventiamo tutti complici di chi ha sbagliato. Qualcuno ci prova. In Emilia-Romagna il sistema ha funzionato meglio. Nei limiti, perché anche qui si naviga a vista. Altrove no. Ma siamo una nazione. E non può e non deve accadere questo.
In video con noi oggi c’erano i miei zii di Bergamo, ancora sotto choc per quello che hanno dovuto vivere, le mie cugine di Roma, infermiere che ogni giorno rischiano per gli altri e sono davvero ancora troppo poco tutelate e tanti parenti di Cosenza, consapevoli che quello che è successo a mio padre per loro sarebbe una sciagura di portata ancora più tragica.
Se davvero fossimo una nazione questo non succederebbe. Ci sarebbe il virus, sì. Il resto però ce lo potremmo risparmiare.
Mi mancherai papà.
Manuela
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