REGGIO EMILIA – La sera del 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince, partito dal porto di Livorno e diretto a Olbia, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, all’ancora in rada. Lo scontro provocò la fuoriuscita di petrolio e un incendio in cui persero la vita 140 persone, tutti i passeggeri e l’intero equipaggio, escluso un giovane mozzo che riuscì a lanciarsi in mare.
Fra loro, sette reggiani diretti in Sardegna per una vacanza: Aldo Mori, di 52 anni, e la moglie Maria Giovanna Formica, di 51, residenti a Poviglio; la giovane Monica Rizzi, di 27 anni, e il padre Umberto Rizzi di 45, residenti a Castelnovo Sotto; Alessia Caprari, di 19 anni, con l’amica Maria Rosa Simoncini, di 25, residenti in città; Giuliano Salsi, 40 anni, di Bagnolo. Dopo 30 anni, i parenti delle vittime non hanno ancora avuto giustizia.
Una prima sentenza assolse tutti gli imputati dall’accusa di omicidio colposo; in appello, nel 1999, scattò la prescrizione. Nel 2006 la procura riaprì le indagini, mentre emergevano ipotesi di traffico d’armi come causa o concausa del disastro. Nuova archiviazione, con attribuzione delle responsabilità a errori del comandante e dell’equipaggio della Moby Prince, tutti morti nell’incendio. Le pressioni dei famigliari portarono all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta al Senato i cui lavori, conclusi nel 2018, hanno ribaltato quelle conclusioni, denunciato carenze nelle indagini, responsabilità di chi comandava la petroliera, ritardi nei soccorsi, zone d’ombra per la presenza di altre navi e sospetto di traffico d’armi e rifiuti tossici.
Da allora, è partita una terza inchiesta della procura livornese, ancora aperta, per i reati di strage e omicidio plurimo aggravato, gli unici non prescritti. Le associazioni dei famigliari, cui il tribunale civile di Firenze ha negato nel novembre 2020 risarcimenti da parte dello Stato, chiedono ora una seconda commissione parlamentare. Trenta anni non sono bastati a fare chiarezza su tutti gli inquietanti interrogativi posti da quella notte da incubo.
Gian Piero Del Monte
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