Buongiorno,
mio padre, Francesco Mastropietro, è morto a causa del covid il 28 novembre scorso, presso l’ospedale Santa Maria Nuova. Vorrei porre alcuni spunti di riflessione e rivolgere alle competenti autorità sanitarie e politiche alcune domande, senza alcun intento polemico e, a scanso di qualsiasi fraintendimento delle mie intenzioni, ringrazio il personale sanitario per il complesso e rischioso lavoro che sta svolgendo in questo difficile momento.
Mio padre, di 84 anni, era ancora una persona molto attiva, del tutto indipendente, ancora molto utile alla famiglia nel gestire i nipoti, sempre in giro per le case di tutti i famigliari a fare mille lavoretti, che erano il suo passatempo. Dopo alcuni giorni di leggero malessere, sembrava un banale raffreddore, il 13 novembre, mattina presto mio padre chiama l’ambulanza perché accusa un po’ di fatica a respirare.
Nonostante non stesse bene, il 13 è sceso da solo dal suo appartamento ed è entrato con le sue gambe in ambulanza. Il pomeriggio vengo chiamato dai medici dell’ospedale: “polmonite interstiziale da covid, intaccati entrambi i polmoni, situazione molto compromessa, poche speranze che si salvi”. Iniziano le cure ma giorno dopo giorno inesorabilmente l’ossigenazione peggiora. Dopo 15 giorni di agonia non ha più una goccia di ossigeno nel sangue e muore. Fin da subito i medici mi hanno detto che le cure da protocollo non sortivano alcun effetto. Abbiamo chiesto di tentare cure alternative, plasma, anticorpi monoclonali etc ma a quanto pare il nostro ospedale e, in generale la regione Emilia-Romagna, non ha ritenuto utile avere cure alternative da tentare. Se non funzionano quei farmaci da protocollo (cortisone ed eparina) si aspetta semplicemente che un paziente muoia, lentamente, giorno dopo giorno per 15 lunghissimi giorni.
Nel frattempo altre persone della famiglia che avevano avuto contatti con mio padre si sono ammalate.
A questo punto abbiamo potuto constatare comportamenti e prescrizioni dei relativi medici di base totalmente difformi tra loro, in un solo caso siamo riusciti a far intervenire l’USCA, intervento rivelatosi estremamente efficace, ci siamo spesso sentiti soli, e sicuramente nel caos più totale.
Ora le domande:
1) perché non sono state valutate terapie alternative a livello ospedaliero nella regione Emilia Romagna? Il tempo non mancava dalla prima ondata; di fronte ad una terapia che non funziona non sarebbe opportuno tentarne altre?
2) perché i medici di base non hanno o non applicano un protocollo univoco nell’affrontare questa malattia? Da quel che leggiamo sui giornali è importantissimo affrontare correttamente i primi giorni della malattia per ridurre i ricoveri e i decessi.
3) non sarebbe opportuno rinforzare l’azione dell’USCA?
Cordialmente
Paolo Mastropietro
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