REGGIO EMILIA – La nuova sentenza della Corte d’Appello di Bologna consente di tornare su una della pagine più buie della storia recente della nostra città.
I punti fermi ormai sono molti. L’autore della lettera di minacce al sindaco Vecchi, Pasquale Brescia, è stato condannato in via definitiva: 13 anni per associazione mafiosa, 6 mesi per la missiva al sindaco. Imprenditore edile, politicamente impegnato nel Pdl, Brescia era uomo di vaste relazioni, con notevoli entrature nella questura dell’epoca. Alla condanna del suo ex legale, l’avvocato Luigi Comberiati, manca il sigillo della Cassazione. Nella sentenza di condanna di Brescia si ricostruisce “il complesso iter con cui la missiva venne elaborata, confezionata, revisionata, fatta uscire dal carcere ed infine recapitata” al Carlino. Non fu la normale presa di posizione di un comune cittadino, quella lettera, e neppure il colpo di testa di un singolo. Durante il dibattimento del processo Aemilia, due ‘ndranghetisti divenuti collaboratori di giustizia – Salvatore Muto e Antonio Valerio – hanno affermato che l’operazione avvenne sotto la supervisione di Gianluigi Sarcone, fratello del capocosca Nicolino, e aveva l’obiettivo di tenere sotto scacco il sindaco della città.
Le manovre di Comberiati, si legge sempre nella sentenza di condanna di Pasquale Brescia, “si svolgevano in parallelo con contatti assiduamente tenuti con parenti e altri referenti in libertà del Brescia, ed altri difensori di altri imputati eccellenti, il che evidenzia una condivisione di intenti strategici generali”. Sulla natura minacciosa della lettera la Corte d’Appello di Bologna non ha avuto dubbi: “Una simile comunicazione – scrivono i giudici – costituirebbe minaccia diagonale anche se provenisse da un quivis (cioè da un cittadino qualunque, ndr) ma nel nostro caso essa assunse caratteristiche ricattatorie ancor più palesi ed indiscutibili in quanto proveniva da un associato eccellente ad una cosca mafiosa molto pericolosa”.
Della lettera si parla anche nelle motivazioni della sentenza del processo Aemilia scritte dai giudici Caruso, Beretti e Rat: “Addirittura – vi si legge – si ritenne possibile agire sul sindaco di Reggio Emilia attraverso una lettera pubblicata sui giornali per chiedergli un intervento contro il processo, che ovviamente non vi fu”. Una “strategia – concludono i giudici – che se avesse raggiunto i suoi scopi avrebbe potuto avere effetti devastanti sul processo”.
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