BOLOGNA – Il 22 gennaio scorso, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, la procuratrice generale di Bologna Lucia Musti aveva accusato i colletti bianchi che in Emilia-Romagna fanno affari con la ‘ndrangheta. Qualcuno non ha gradito le sue parole.
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Lucia Musti, procuratrice generale reggente di Bologna, è stato oggetto nelle settimane scorse di due episodi di intimidazione. Il primo episodio è avvenuto nei giorni successivi all’inaugurazione dell’anno giudiziario. In quella occasione, la Musti aveva definito l’Emilia-Romagna “distretto di mafia”, aggiungendo che ci sono “imprenditori, colletti bianchi e professionisti locali che hanno deciso che fare affari con la ‘ndrangheta è utile e comodo”.
Pochi giorni dopo una lettera minatoria indirizzata alla Musti è stata recapitata al suo ufficio presso la sede della Corte d’Appello e della Procura generale. La lettera contiene riferimenti ad alcune frasi pronunciate dalla Musti durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Sempre pochi giorni dopo, il portone di casa della procuratrice a Bologna è stato imbrattato con vernice rossa.
Lucia Musti è stata protagonista di numerose indagini e processi per fatti di ‘ndrangheta. Attualmente, insieme alla collega Beatrice Ronchi, rappresenta l’accusa nell’appello del processo Grimilde sulle attività della famiglia Grande Aracri a Brescello. Il processo di primo grado si era concluso con 41 condanne, tra le quali quelle a 20 anni per Salvatore Grande Aracri, figlio di Francesco e nipote del boss Nicolino, e per Giuseppe Caruso, esponente di Fratelli d’Italia, ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza. La Musti ha rappresentato l’accusa anche nel processo che nel gennaio 2021 ha portato in appello alla condanna di Gianlugi Sarcone a 14 anni e 6 mesi per associazione mafiosa. La Prefettura di Bologna ha deciso di rafforzare la protezione della procuratrice generale.