REGGIO EMILIA – Ci sono i monumenti, come la fontana e il teatro Valli. Le grandi opere, come i ponti di Calatrava. Ci sono le persone che hanno scritto la storia della città, ma non crediamo di essere sacrileghi nel dire che anche il ristorante Canossa e il suo carrello dei bolliti sono un pezzo di Reggio.
Cinquant’anni fa i quattro fratelli Calò hanno rilevato il locale di via Roma da una precedente gestione in cui il primogenito era cameriere. I rumori dei piatti ha accompagnato i pranzi e le cene della signora Ferrari come di Luciano Pavarotti, della famiglia Montanari come di Rita Levi Montalcini e Dario Fo. Famosi e non, tutti comunque spettatori: qui la protagonista è la tradizione nel piatto, e sappiamo bene quanto un piatto di tortelli racconti di una terra e della sua gente.
Il brodo viene fatto tutti i giorni, di manzo e di gallina e a volte anche di cappone. Nessuna rivisitazione, nessun esperimento, nessun cambiamento: la qualità delle materie prime è l’unica cosa che conta, e in questo c’è comunque della modernità. “Prosciutto, formaggio, carne. Tutte carni scelte e selezionate – spiega Silvio Calò – Le nostre ricette? Sono gli altri che ce le vogliono copiare”.
Il Canossa è lì, testimone del tempo e testimone di una città che cambia ma che quando entra da quella porta desidera solo sedersi ed essere confortata da qualcosa che dia sollievo, che susciti ricordi d’infanzia, che porti alla mente quelle domeniche in famiglia tutti assieme. Tra i frequentatori ci sono anche tanti giovani: per loro i Calò fanno anche uno strappo alla regola, anche se sui cappelletti non c’è da scherzare: “A volte loro li vogliono alla panna e capita che chiudiamo un occhio”.
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