REGGIO EMILIA – Unindustria non ha gradito il voto dei Consigli comunali di Reggio, Guastalla e Novellara, che a grande maggioranza quando non addirittura all’unanimità, hanno approvato ordini del giorno a sostegno della lotta dei lavoratori metalmeccanici per il rinnovo del contratto nazionale. L’associazione di via Toschi ha ricordato che il settore vive una fase di difficoltà e ha chiesto alla politica di non esacerbare una vertenza tra parti sociali.
Ma c’è un nodo che è difficile eludere. Negli ultimi dieci anni, tra il 2014 e il 2023, le 235 principali aziende metalmeccaniche della provincia hanno pressoché raddoppiato il giro d’affari (da 9,1 a 16,1 miliardi di euro). In questo lasso di tempo, gli utili cumulati sono balzati dai 363 milioni del 2014 a quota 1,574 miliardi nel 2023. I profitti aziendali sono dunque cresciuti del 433% in dieci anni. Gran parte di questi profitti è finita agli azionisti, mentre la crescita degli investimenti è stata “solo” del 78%. E i salari? Il costo del lavoro sostenuto da quelle stesse 235 aziende meccaniche è aumentato del 49% rispetto al 2014.
Queste elaborazioni, contenute in un’analisi della Fiom di Reggio, dicono che la forbice tra profitti e salari si allarga sempre di più. Se nel 2014 ai lavoratori andava il 64% del valore aggiunto, nel 2023 la quota era scesa al 55%, mentre quella dei profitti lordi è passata dal 34 al 43%. Non c’è da meravigliarsi se qualcuno ha qualcosa da ridire.
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