REGGIO EMILIA – Il centrodestra accusa il procuratore capo Mescolini di aver messo sotto inchiesta senza motivo Giuseppe Pagliani e Giovanni Paolo Bernini, ma di non aver sviluppato gli indizi e gli spunti investigativi che, nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta, chiamavano in causa esponenti del centrosinistra.
Ci sono elementi per ritenere fondata questa tesi? Quanto al primo aspetto – cioè il coinvolgimento di Pagliani e Bernini, visto come una persecuzione giudiziaria – l’affermazione non tiene conto di un fatto essenziale. La Dda non indagava su Pagliani: la Dda “inciampò” in Pagliani intercettando Alfonso Paolini, poi condannato per associazione mafiosa. Pagliani aveva contatti telefonici con Paolini, incontrava i fratelli Sarcone e Pasquale Brescia ed è per questo che finì nell’indagine.
Allo stesso modo Bernini, ex assessore ed ex presidente del Consiglio comunale di Parma, finì nell’inchiesta non perché la Dda di Bologna lo intercettava. La Dda di Bologna ricevette da quella di Catanzaro intercettazioni dello ‘ndranghetista Romolo Villirillo nelle quali quest’ultimo diceva che Bernini gli aveva promesso soldi in cambio di appoggio elettorale.
Il centrodestra però argomenta anche che Mescolini avrebbe trascurato gli atti dell’inchiesta che porterebbero al Pd. Mescolini non indagava da solo, ma faceva parte di un pool di quattro magistrati coordinato dal procuratore generale di Bologna, Roberto Alfonso. Il lavoro di questo pool, solo per limitarsi al troncone principale del processo Aemilia, ha superato ormai l’esame di quattro processi e della Cassazione. Cinque corti, decine di giudici. Alcune sentenze indicano ulteriori spunti di indagine, altre – come quella emessa dei giudici Caruso, Beretti e Rat – stigmatizzano la “passività e inconsapevolezza” di alcuni politici e amministratori. Ma nessuna di queste sentenze dice che l’accusa ha indagato in una sola direzione o che ha trascurato notizie di reato.
C’è di più: già nel 2016, Bernini presentò esposti dello stesso tenore al Csm e al procuratore generale della Cassazione: né l’uno né l’altro hanno ritenuto che vi fossero elementi per trasmettere l’esposto alle Procure competenti per nuove indagini. (6/continua)
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